Siamo alla fine degli anni Settanta e il successo della Giulia spinge i vertici di Alfa Romeo a puntare su un’erede in grado di mantenere il dominio del mercato in una categoria importante come le berline. La nuova segmento C del biscione deve portare nuove soluzioni tecniche che possano riscrivere gli standard di sportività e comfort dell’epoca e, non di meno, deve aggiornare le linee morbide della Giulia con un design più affine al gusto di quei tempi, fatto di muscoli e tratti decisi.
Nasce così, nel 1972, l’Alfa Romeo Alfetta. Con una presentazione originale a Trieste, più precisamente al porticciolo di Grignano, lontano dai vari Saloni dell’Auto – in un evento dedicato – in cui riscuote subito un notevole successo di critica e pubblico. Complice anche il nome con un richiamo importante: “Alfetta” era il nomignolo con cui i meccanici Alfa Romeo di Formula 1 erano soliti chiamare le monoposto 158 e 159 dei primi due anni cinquanta, entrambe vincenti del titolo mondiale. Dare un nome così a una berlina di serie si pone come una vera e propria dichiarazione d’intenti.
Indice
Scelte tecniche senza compromessi
Alla base dell’Alfetta c’è un progetto tecnico rivoluzionario per l’epoca, pensato con un occhio di riguardo per le prestazioni, in pieno stile Alfa Romeo. L’architettura meccanica riscrive quanto fatto sulla Giulia nella sua interezza, a eccezione del propulsore che viene dotato della cavalleria della 1750 Berlina . Per offrire una distribuzione dei pesi perfettamente bilanciata, il cambio e la frizione vengono posizionati posteriormente, secondo lo schema Transaxle, inusuale disposizione di origine americana dove il cambio – invece di stare attaccato al motore – si posiziona al posteriore insieme a frizione e differenziale. Sempre al posteriore, i dischi dei freni vengono curiosamente posizionati sulla scocca a monte dei semiassi, per ridurre le masse non sospese e favorire la dinamica.
La vera rivoluzione dinamica avviene però nello schema sospensivo, con l’anteriore gestito da sospensioni indipendenti a barre di torsione e al posteriore un ponte De Dion con parallelogramma di Watt, la stessa tipologia utilizzata nella monoposto 159 di Fangio del 1951. Anche quest’ultima soluzione si pone l’obiettivo di diminuire le masse non sospese, grazie al differenziale posizionato direttamente alla scocca.
Scheda tecnica Alfa Romeo Alfetta all’uscita nel 1972:
- motore anteriore 1.8 litri 4 cilindri in linea con doppio albero a camme;
- potenza di 122 CV a 5.500 giri;
- velocità massima di 180 km/h;
- peso 1.060 kg.
Eleganza italiana, anima grintosa
Se a convincere gli alfisti ci pensano le meraviglie tecniche, a conquistare la massa è invece il design. Con Alfetta il centro stile Alfa Romeo riesce a esaudire le richieste del mercato, progettando una vettura in controtendenza rispetto alla precedente Giulia. Linee tese, proporzioni equilibrate, frontale basso e marcato: una silhouette che parla il linguaggio dell’eleganza anni Settanta ma con quella dose di aggressività tipica delle Alfa. Dentro, l’abitacolo è spazioso e ben rifinito, pensato per il comfort ma con un’impostazione di guida orientata al dinamismo.
Al contrario di quanto si possa pensare, la scelta delle dimensioni generose del bagagliaio dell’Alfetta non deriva dalla visione del team stilistico, quanto da una presa di posizione dell’ingegnere austriaco Rudolf Hruska, a quei tempi a capo del progetto Alfasud contemporaneo all’Alfetta. Hruska, fermamente deciso che il bagagliaio di un’auto debba poter contenere comodamente quattro valigie di medie dimensioni, imposta il design posteriore della Alfasud secondo questo criterio e, durante la presentazione interna dei due prototipi, si rende conto che l’Alfetta è dotata di un baule più piccolo rispetto a quello di una vettura di segmento inferiore. Così la linea del bagagliaio viene alzata, la pendenza del lunotto resa più aggressiva e, finalmente, le quattro valigie possono entrare nell’Alfetta.
Tutte le versioni
Parallelamente alla berlina, nel 1974 un’altra icona Alfa Romeo nasce sotto lo stesso nome: la Alfetta GT. Con la firma stilistica di Giorgetto Giugiaro per Italdesign, la GT e le successive GTV e GTV6 (quest’ultima con il V6 Busso da 2.5 litri, ora vero e proprio oggetto di culto) utilizzano la stessa meccanica transaxle e il ponte De Dion della berlina, ma traducono tutto in chiave più emozionale. Due porte, sedili sportivi, strumentazione orientata al pilota: delle coupé nate per entusiasmare, e ci riescono benissimo. Un’arma in più per conquistare un mercato che già elogiava a gran voce il progetto Alfetta.

Dopo il debutto del modello “milleotto” nel 1972, già nel 1975 arriva l’Alfetta 1.6, una variante che ora verrebbe chiamata entry-level pensata per ampliare la base clienti, ma senza rinnegare la filosofia del Biscione. Il vero salto prestazionale avviene con l’Alfetta 2000, lanciata nel 1977. Sotto il cofano, un 2.0 litri bialbero da 130 cavalli che la trasformava in una delle berline più veloci della categoria. Ma la potenza non è l’unico elemento distintivo: la 2000 si riconosceva per interni più curati, dettagli cromati e una strumentazione ridisegnata. Vuole essere l’Alfetta dei manager, dei professionisti, di chi cerca un’auto di rappresentanza senza rinunciare al piacere di guida.
Nel 1982 l’Alfetta diventa la prima vettura italiana a portare un motore diesel sovralimentato. La 2.0 Turbodiesel vuole rivolgersi a un target più orientato alle lunghe percorrenze e meno alla sportività. Probabilmente proprio per questo non viene accolta con lo stesso entusiasmo delle precedenti versioni.
Una leggenda senza tempo
L’Alfa Romeo Alfetta esce di produzione nel 1984, ma il suo mito è rimasto intatto. Ancora oggi è oggetto di culto per gli appassionati e pezzo forte nei raduni d’epoca. Merito di un progetto tecnico audace e di un carattere unico, in grado di rendere sportiva persino una berlina famigliare. La guidavano ministri, industriali, banchieri, ma anche tanti italiani comuni che volevano distinguersi e raccontare la propria passione per la guida, senza ostentare. Grazie a un progetto così sportivo, l’Alfetta diventa una delle vetture più utilizzate dalle forze dell’ordine e, bisogna dire, anche da chi la legge la infrangeva, vivendo da protagonista alcuni dei più grandi inseguimenti dell’epoca.
In quegli anni, l’Alfetta era ovunque: nei film polizieschi, nei parcheggi dei palazzi del potere, nei garage di chi cercava un’auto solida ma coinvolgente. Era la perfetta incarnazione dell’italianità su quattro ruote. Perché alla fine, è questo che ha fatto l’Alfetta: ha dimostrato che una berlina può lasciare il segno. Con buona pace delle concorrenti tedesche.