Tesla non potrà usare il nome “Robotaxi”, Elon Musk ancora nel caos

L’Ufficio Brevetti Usa blocca la richiesta di Tesla: “Robotaxi” è troppo generico. E ora Musk rischia di perdere il nome più caratteristico del suo piano

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Manuel Magarini

Giornalista automotive

Classe 90, ha una laurea in Economia Aziendale, ma un unico amore: la scrittura. Da oltre dieci anni si occupa di motori, in ogni loro sfaccettatura.

Pubblicato: 10 Maggio 2025 14:37

Elon Musk ci ha costruito sopra conferenze, tweet, slide di presentazione e persino qualche promessa un po’ troppo ottimista. Ma adesso il termine “Robotaxi”, usato da anni da Tesla per identificare i suoi veicoli a guida autonoma, non potrà essere registrato a titolo esclusivo. Lo ha deciso l’Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti: secondo l’ente americano, “Robotaxi” è una parola troppo generica, già utilizzata da diverse aziende per indicare lo stesso tipo di servizio. In pratica, anziché un nome, rappresenta una categoria. E se tutti lo usano, nessuno può averne il monopolio.

Nome troppo comune, niente esclusiva

Per Musk e il suo team si tratta di una tanto piccola quanto seccante battuta d’arresto. Tesla usa la parola Robotaxi da anni nei suoi annunci, nelle conferenze e nei documenti ufficiali. È diventato quasi sinonimo della sua visione del futuro. Ad avviso, però, dell’ufficio brevetti, proprio questa diffusione gioca contro di loro. La parola non è abbastanza distintiva, e quindi non si può trasformare in un brand a sé stante. A ogni modo, la porta rimane socchiusa. Tesla ha ancora 3 mesi di tempo per avanzare ricorso o presentare una nuova documentazione che giustifichi l’uso esclusivo del termine. Superata quella scadenza, la pratica verrà semplicemente archiviata.

Grane anche con “Cybercab”

Tesla, nel frattempo, aveva vagliato delle alternative a Robotaxi. Aveva provato anche con un altro nome piuttosto evocativo: “Cybercab”. Ma immancabilmente sono sorti problemi. In questo caso, la richiesta di registrazione è stata bloccata perché troppo simile a marchi già richiesti o in uso. A complicare la questione, delle aziende stanno cercando di proteggere accessori aftermarket legati al Cybertruck (il pick-up elettrico di Tesla). E così pure Cybercab è finito impantanato.

Ennesimo tentativo: “Robobus”. A sua volta depositato da Tesla per futuri veicoli autonomi destinati al trasporto collettivo per sbloccare l’impasse. Ma di nuovo, la domanda è ancora in fase di esame e l’esito è tutto da vedere. In breve, il produttore americano sta facendo fatica a mettere il proprio timbro legale sui nomi futuristici che accompagnano la sua narrazione ormai da anni. E anche se può sembrare un dettaglio, in un mondo dove brand, marketing e proprietà intellettuale contano moltissimo, avere (o non avere) un marchio registrato può fare la differenza.

Austin si prepara

Nel frattempo, mentre i documenti si accumulano sui tavoli dell’Ufficio Marchi, Tesla tira dritto. Il lavoro sul progetto Full Self Driving prosegue, ed è proprio questo sistema che dovrebbe essere il motore del servizio Robotaxi (o comunque verrà chiamato). Stando alle ultime indiscrezioni, il via al progetto pilota sarebbe fissato a giugno ad Austin, in Texas. Una città dove Tesla ha già forti radici e una buona base operativa.

La sperimentazione sarà cruciale. Perché se da un lato Musk continua a promettere un domani senza conducenti, dall’altro le sfide legali, burocratiche e tecniche vanno avanti a mettersi di traverso (e i dazi non aiutano). E registrare un nome, come abbiamo visto, è solo una delle matasse da dipanare. Quali saranno gli sviluppi? Lo scopriremo nelle prossime settimane. Quando Elon sarà obbligato a fare la sua mossa.