Annalisa Minetti da Miss Italia a Sanremo: "Mi sono fatta operare per sfuggire al bullismo"

Dalla cecità al bullismo, da Miss Italia a Sanremo: intervista ad Annalisa Minetti, che si racconta tra dolori segreti e sogni ancora vivi

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Annalisa Minetti non è solo una cantante. È una maratoneta paralimpica, un’ex contendente a Miss Italia, una vincitrice del Festival di Sanremo, una madre, una voce potente che attraversa palco, pista e quotidianità. È anche una donna cieca, e per questo da anni bersaglio di pregiudizi. L’abbiamo incontrata a Roma, in occasione della Maratona Bullismo, evento promosso da Città Metropolitana, Moige e Polizia di Stato, per sensibilizzare studenti e famiglie sul fenomeno del bullismo e del cyberbullismo. Un tema che Annalisa Minetti conosce molto bene, sia per esperienza personale, sia come madre di un adolescente. Quella che segue non è una semplice intervista con Annalisa Minetti. È una conversazione a cuore aperto su fragilità e forza, fede e diritti civili, dolore e rinascita. È il ritratto di una donna che non ha mai smesso di mettersi in gioco. E che oggi, a 49 anni, sogna ancora il palco dell’Ariston.

Cosa si augura che sia rimasto alle persone che hanno ascoltato le sue parole a Maratona Bullismo?

“Mi auguro che siano uscite da lì con una maggiore consapevolezza. In particolare, i genitori. Vorrei che avessero capito che il primo passo è smettere di pensare a mio figlio non potrebbe succedere. Il male è subdolo, è invisibile. Se tuo figlio non ti racconta cosa sta vivendo, tu non lo saprai mai. E spesso i ragazzi ci provano: ti parlano, ma in modo indiretto, con una frase lanciata al volo. Se in quel momento sei distratto e rispondi ne parliamo dopo, quel momento è perso. E non torna”.

Annalisa MinettiMelissa Fusari
Annalisa Minetti oggi

Lei ha un figlio adolescente, giovane promessa del calcio. Se gli fosse accaduto qualcosa, pensa che se ne sarebbe accorta?

No, ed è proprio questo il punto. Perché so quanto gli adolescenti siano bravi a nascondere, e lo dico perché io stessa da ragazza l’ho fatto. A mia madre non ho detto tante cose, e alcune le tiro fuori adesso, da adulta. Quando capita un litigio, all’improvviso viene fuori un vecchio dolore. E lei mi guarda e dice: Perché non me l’hai detto?. E io: Perché mi vergognavo. Pensavo fosse colpa mia. Da mamma, il mio unico vantaggio è che riesco a ricordare chi ero io a quell’età”.

Il tema del bullismo ha attraversato anche la sua carriera pubblica. Già a Miss Italia veniva data per favorita in quanto non vedente. Come ha vissuto quel momento?

“Quello è stato il primo bullismo mediatico che ho subito. Non lo chiamavamo così, ma era chiaro. Veniva insinuato che la mia diversità fosse un vantaggio competitivo. Ma io sfilavo come tutte. Avevo imparato a farlo. Non avevo alcun aiuto, se non due persone che mi accompagnavano dietro le quinte. E allora? Forse che due accompagnatori in più giustificano la diffidenza del pubblico? Era una critica assurda. Solo perché ero cieca, la mia presenza veniva messa in discussione. Qualora avessi vinto, però, per l’organizzazione sarebbe sorto un ulteriore problema: non avrebbero potuto mandarmi in giro da sola”.

Ha vissuto qualcosa di simile anche quando ha partecipato a Sanremo vincendo il festival con Senza te o con te?

“Sì. Aldo Busi disse che avevo vinto solo perché avevo sfruttato la mia disabilità. La cosa che fa male è che io non ho mai detto, allora, di cosa parlasse davvero la mia canzone. Perché non volevo dare in pasto la verità a chi era pronto a storpiarla. Ma quel pezzo parlava ai miei occhi. Parlava della mia cecità. Era un modo per dirle addio. Senza te o con te, la mia vita è difficile ma non è finita: era questo il messaggio. Ma l’ho tenuto per me proprio per evitare inutili polemiche”.

annalisa minetti festival di sanremo 1998Annalisa Minetti

Annalisa Minetti dopo la vittoria al Festival di Sanremo 1998

Da adolescente, Annalisa Minetti ha subito bullismo anche a scuola?

“Sì, ma non me ne rendevo conto. Non sapevo ancora di essere cieca, quindi gli altri mi prendevano in giro per la mia goffaggine. Sbattevo contro i muri, prendevo in pieno i bidoni, inciampavo… e ridevano. E io pensavo: “Sono sbadata”. Ma non era così. Era la mia disabilità che stava emergendo. Solo che io non lo sapevo, e nemmeno loro. Ci soffrivo tantissimo, ma non avevo le parole per difendermi: anziché uscire, mi rinchiudevo in casa. A 12 anni, arrivò anche il bullismo vero da parte degli adulti. Un professore, in prima media, mi metteva sempre gravemente insufficiente in matematica. Quel voto significava 3. Ma non era solo un voto: era umiliazione. Ogni volta che mi interrogava, io andavo nel panico, non capivo più nulla. E più lui mi metteva pressione, meno riuscivo a pensare. Un giorno, per evitare un compito, finsi un mal di pancia. Mia madre mi portò in ospedale. Finsi anche lì ma mi operarono di appendicite. E sai la cosa assurda? Io l’appendicite non ce l’avevo. Ma, pur di non affrontare quel professore, mi sono lasciata tagliare. Quel terrore lì è bullismo. E oggi ci sono ragazzi che si tagliano davvero, che si buttano giù da un ponte, che lasciano messaggi prima di farlo. Lo fanno per la stessa ragione: il dolore psicologico è troppo, e il corpo diventa una valvola di sfogo”.

Ancora oggi subisce attacchi?

Sì, soprattutto sui social, dopo aver annunciato la separazione dal mio secondo marito. Mi scrivono cose tremende. Hai un sorriso orribile, Sei cieca, non meriti quello che hai. E fa male. Fa male anche se sei adulta, anche se sei preparata. Perché certe frasi ti restano dentro, ci pensi prima di dormire. Io cerco di ignorarle, ma sono colpi bassi. Lo sport mi aiuta a liberare la rabbia. La musica mi aiuta a curarla.

C’è un momento in cui tutto questo diventa troppo?

“Sì, ed è allora che serve forza, ma anche dolcezza. Serve tornare a se stessi. Io, per esempio, non voglio che l’odio prenda il controllo della mia vita. Ho fatto una promessa a Dio: mai permettere al rancore di parlare per me. È una linea netta, che mi tiene in equilibrio. La musica è la mia terapia emotiva. Lo sport è il mio sfogo fisico. Mi tengo in piedi così”.

annalisa minettiAnnalisa Minetti
Annalisa Minetti e lo sport

Lei ha una doppia carriera, tra sport e musica. Che differenza c’è tra le due Annalisa Minetti?

“Nello sport cerco il riconoscimento. È come dire: Visto? Anche se non vedo, posso vincere. È una sfida, una motivazione estrinseca. Cambio spesso disciplina per mettermi alla prova. Adesso faccio canottaggio. Invece nella musica sono libera. Quando canto non devo dimostrare nulla. Mi emoziono, mi commuovo, mi lascio andare. È il mio spazio sacro. Quando salgo sul palco, non esiste la disabilità. Esisto solo io, con la mia voce, le mie canzoni e la mia verità”.

Si ama, Annalisa?

Quando sono con i miei figli. O quando riesco a ritagliarmi del tempo per me senza sentirmi in colpa. Ma confesso che nei rapporti di coppia mi annullo: voglio che tutto sia perfetto, che l’altro sia sempre felice, e dimentico me stessa. Sto lavorando su questo, con la mia terapeuta. Ma ho fatto un piccolo passo: l’altro giorno ho saltato un allenamento per fare colazione con i miei ragazzi. Ho lasciato il letto sfatto. E sai una cosa? Mi sono sentita bene. E mio figlio, vedendo il letto ancora disfatto, mi ha detto: ‘Allora stai guarendo davvero’”.

Cos’è per lei oggi il coraggio?

Il coraggio è il primo passo. Non è l’assenza di paura, è la gestione della paura. Chi non ha paura non è umano. Ma, se la sai usare, la paura ti tira fuori il meglio. Io lo dico sempre: il coraggio è quello che ti permette di mettere il piede sulla linea di partenza. Poi quel che succede dopo si vedrà. Ogni giorno viviamo piccole imprese. E vivere è già un’impresa, se ci pensi. Il coraggio va allenato. Si allena con la volontà. Dove c’è volontà, non c’è limite”.

Ha una paura che non hai ancora superato?

“Ne ho due. La prima è quella di ammalarmi prima che i miei figli abbiano 18 anni. Voglio esserci per loro, finché sono pronti ad affrontare la vita da soli. La seconda è il contrario: perderli. Non potrei sopportarlo. Sono le mie due grandi paure”.

È molto credente, ma anche molto attiva sul fronte dei diritti civili. Come convivono queste sue due anime?

Bene, perché non sono in contraddizione. Dio è amore. Punto. Io ho una tata molto religiosa, che prende alla lettera tutto ciò che dice la Chiesa. Io no. Io interpreto, rifletto. Gesù non ha mai parlato di amore solo tra uomo e donna. Parlava di amore, tra esseri umani. Io non giustifico le perversioni, ma credo nell’autenticità. Dove c’è sentimento vero, non giudico. E la mia fede non me lo impedisce. Anzi, me lo insegna”.

Cos’è per lei il perdono?

“È l’apice dell’amore. Non puoi dire di aver amato se non sai perdonare. Io non conosco l’odio. Per me non esiste. Anche con il mio primo ex marito oggi abbiamo un rapporto bellissimo: non voglio restare ostaggio di un ricordo. Voglio che i miei figli sappiano che si può guarire. Che si può anche restare vicini a chi ti ha ferito, se entrambi lo desiderate davvero”.

Cosa sogna ancora?

“Sogno di tornare a Sanremo. L’anno prossimo compio 50 anni. Sarebbe un bel cerchio che si chiude. E poi, magari, un giorno condurlo. Intanto esce il mio nuovo singolo, Come il jazz. È un brano suonato davvero, funky, elegante, potente: un bellissimo regalo di Danny Losito. Mi fa sentire donna. Mi immagino su uno sgabello, con un vestito lungo e un tacco altissimo. Mi vedo bella. E canto. E mi dico: Sì, Annalisa. Sei tu”.

Se potesse dirsi grazie, per cosa sarebbe?

Per non aver mai smesso di provarci. Per essermi sempre rialzata. Anche quando avrei avuto tutte le ragioni per mollare. Per aver saputo trasformare la sofferenza in opportunità. Per essere rimasta in piedi, sorridendo, anche quando dentro aveva le lacrime”.

annalisa-minetti US Filippo Broglia e Alessandra Pieri