Giovanna Sannino da Mare Fuori al cinema con Come Romeo e Giulietta: "Mi ispiro a chi dice sempre la verità"

Dall’amatissima Carmela di Mare Fuori al ruolo intenso di Claudia in Come Romeo e Giulietta: Giovanna Sannino si racconta in un’intervista senza filtri

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È cresciuta sotto gli occhi del pubblico, tra successi e prove personali: oggi Giovanna Sannino, 25 anni, è molto più del volto di Carmela in Mare Fuori. È un’attrice consapevole, che mette a nudo insicurezze, ferite, ambizioni e sogni. In Come Romeo e Giulietta, al cinema dal 9 ottobre, interpreta Claudia, un personaggio che le somiglia profondamente e che la riporta alle sue radici: Napoli, il teatro, la letteratura, il senso di appartenenza e lo slancio verso il cambiamento. In questa intervista esclusiva per Virgilio Notizie, l’attrice parla di sé con autenticità disarmante: dal rapporto con la diversità all’impatto delle ingiustizie vissute, dalla scelta di vivere d’arte al bisogno di sentirsi libera e vera, anche sui social. Fino all’amore, alla voglia di famiglia e al sogno ancora da realizzare: il suo primo film.

Chi è Claudia per lei?

“Claudia e Giovanna Sannino, in pratica, sono la stessa persona. Lei è davvero me. Diversamente da Carmela o da altri personaggi con cui ho avuto un certo distacco, con Claudia ho condiviso tanto. È una ragazza napoletana che studia lettere e sta scrivendo la tesi su Shakespeare; io mi sono laureata con una tesi in storia del teatro sociale. Insomma, la somiglianza è evidente. L’unica differenza è che Claudia ha due sorelle, mentre io ho un fratello. Quello è stato l’unico aspetto su cui ho dovuto lavorare davvero, perché il rapporto tra sorelle è qualcosa che non ho mai vissuto sulla mia pelle. È diverso, più complice, ha un linguaggio tutto suo. Con Mariasole Pollio e Anna Gaia Sole, che interpretano le sue sorelle, è nato subito un legame fortissimo: ci siamo riconosciute, sembravamo davvero sorelle. Abbiamo cercato somiglianze, ci siamo scoperte simili anche fisicamente. E quell’intimità tra sorelle, che prima mi era sconosciuta, è diventata reale grazie a loro”.

Nel film c’è una scena in cui canta…

“Ho sempre nascosto la mia voce. Non avendo studiato seriamente canto, mi dicevo: “Lasciamo stare, canticchio sotto la doccia, sono intonata all’occorrenza, ma niente di più”. Però da circa un anno ho cominciato a prenderla più sul serio. È una cosa che mi fa stare bene, anche se mi mette alla prova: mi costringe a guardare in faccia i miei limiti. Ho trovato un’insegnante napoletana fantastica, me l’ha consigliata mia madre. È la persona giusta per me, perché riesce a farmi vivere anche i miei difetti come se fossero caramelle gommose. Grazie a lei ho iniziato a divertirmi, a prendere lezioni e a mettermi in gioco. Ho fatto anche dei provini per musical. Mi sono detta: più cose so fare, meglio è. In questo mestiere ogni skill può tornare utile!”.

Fra i suoi limiti, quale considera il maggiore?

“Me stessa. Il mio limite è la mia insicurezza: l’immagine perfetta della mia vita è quella che mi vede come Biancaneve nel bosco davanti a tutti i mostri. Anche se so di essere brava, cerco conferme esterne. Sono molto sensibile alle critiche, spesso lo prendo come un attacco. Ai provini o nelle situazioni in cui devo “vendermi”, la mia insicurezza emerge. Quando sto dentro un ruolo, magari sembro padrona della scena, ma dentro sto morendo”.

Come Romeo e Giulietta si può vedere come dramma romantico o commedia, ma dietro c’è una storia vera forte: quella di Federica Paganelli, affetta da SMA. Voi avete sentito la responsabilità di raccontarla? E pensa che Federica possa rivedersi in questo film?

“Sì, assolutamente. Abbiamo girato una scena in cui Federica era presente, ha fatto da comparsa in teatro, e ora che lo racconto mi vengono i brividi: era il momento in cui la storia non è più sogno, ma realtà. C’era una grande responsabilità: non stai raccontando una storia inventata, ma quella di una persona vivente. Dovevamo fare un regalo a lei. Doveva rivedersi nella finzione. Federica ci ha dato forza, ci ha regalato coraggio. Io ho visto il documentario su di lei, le sue battaglie; tante volte mi sento in colpa quando io cado per banalità, per debolezza. Noi dovevamo dare giustizia alla sua voce, spesso afona. Se Giuseppe (Alessio Nuzzo, il regista, ndr) non l’avesse raccontata, forse nessuno l’avrebbe fatto. Federica non è mai rimasta “ultima”. Le nostre strade si sono incrociate: non potevamo tradirla nella rappresentazione della famiglia, dei sogni, della sua vita”.

Giovanna Sannino Come Romeo e GiuliettaAlessandro Savoia

Quando lei, Giovanna Sannino, ha imparato a confrontarsi con la parola “diversità”?

“A scuola, sin da piccola: frequentavo una scuola privata e un nostro compagno, con un incidente, restò paralizzato. Io avevo 6/7 anni. Le maestre ci indicarono che dovevamo comportarci come se nulla fosse, ma con consapevolezza che qualcosa era cambiato. Questo è stato un primo incontro con la diversità: non trattarla come cristallo, perché altrimenti non è inclusione; renderla normale pur nella delicatezza. E poi all’IPM di Nisida, dove prima da spettatrice e poi da coach per un laboratorio teatrale (a diciotto anni, ndr) ho visto realtà tanto diverse dalla mia: ho imparato ad aprire gli occhi, le orecchie, senza giudizio. Ascoltare e basta”.

Ci sono stati momenti in cui, con le dovute proporzioni, si è lei sentita diversa?

“Sì, da sempre. Alle elementari ero “l’attrice della classe”, mentre le altre facevano sport, danza. Il teatro era il mio mondo, e mi faceva sentire fuori da quello che conveniva socialmente. Anche adesso lo vivo: ho 25 anni, ma spesso sento di aver vissuto di più. In famiglia sono vista come “quella strana”: tutti medici o con posti fissi, io con la partita iva, il rischio, l’incertezza. Spesso mi guardano con pietà, come “quella che fa un mestiere strano”. Ma io porto avanti la mia diversità con orgoglio”.

Cosa l’ha fatta resistere in questo mondo così instabile, dove molti mollano al primo ostacolo?

“Ho resistito perché questo mondo mi piace troppo. Mi dà ansie, crisi, insicurezze, ma lasciarlo non ha senso. Non vedo un’alternativa che mi dia la stessa vita. Potrei fare altro (ho studi, laurea, avrei potuto fare giornalismo), ma non sarebbe lo stesso. Morirei dietro a una scrivania mentre la recitazione mi permette di confrontarmi anche con me stessa. Se guardo indietro, non mi pento di nulla. Alcune mie reazioni le cambierei, ma sono frutto delle mie età, delle mie debolezze. L’unica cosa che mi ha fatto soffrire è il mio carattere: troppo educato per un mondo crudele. Ma sto imparando a “incattivirmi”… non come Carmela (ride nel far riferimento al suo personaggio nella serie cult Mare fuori, ndr)”.

L’insicurezza nasce dal fatto di aver conosciuto presto le ingiustizie?

“Sì, indubbiamente. La terra sotto i miei piedi è sempre stata labile: se non sei utile a qualcuno, puoi essere spazzato via. Questa consapevolezza ha creato in me la paura del rischio, del fallimento.
Quest’anno, che è stato molto di cambiamento, l’ho vissuto: mi sono vista prigioniera. Ma mi sono detta: ho 25 anni, se fallisco posso ricominciare. Ho cambiato tutto, anche con dolore, perché sono abitudinaria. Ho deciso di investire in me stessa, anche se non so dove mi porterà questo salto nel vuoto”.

Chi l’abbraccia più forte quando ha paura di saltare nel vuoto?

“Mia madre. Mio padre cerca di tutelarmi, “posa i gonfiabili”, ma lei è diversa: forte, passionale. Mi ha detto: “Hai le capacità per indirizzare la vita come vuoi tu”… quella frase, detta da lei, ha avuto un peso enorme su di me. Quando le giornate sono terribili, dico “mamma dormiamo insieme, abbracciami”. Lei è il luogo dove mi sento sicura. E sì, litighiamo, è normale, ma è il mio rifugio”.

Il voler cambiare, l’idea di cimentarsi in generi nuovi, nasce anche dalla cifra di Carmela, che già ti ha reso nota?

“Decisamente. Ma anche dall’incontro con Paolo Caiazzo, regista napoletano. Mi ha chiesto un’improvvisazione comica: “Ti ho visto piangere, ma chi sei nella normalità? Fammi ridere”. Da lì ho capito che non sono un’attrice della malinconia e basta. Così è arrivato Come Romeo e Giulietta, poi I promessi suoceri a teatro: sto riscoprendo leggerezza e l’energia della mia età. È fondamentale, perché altrimenti sarei troppo consumata”.

Pensa di aver superato la paura di deludere il pubblico, che la vuole sempre nel personaggio “dark” di Carmela?

“Una volta una spettatrice mi disse: “Ho visto lo spettacolo, non ti avevo riconosciuta. Ho pensato: ‘Quanto è brava questa ragazza’”. Quella cosa mi ha rasserenata: significa che posso essere altro. Non rinnego Carmela: anzi, la ringrazio. È stato il mio biglietto da visita. Se Giuseppe mi ha chiamata per Come Romeo e Giulietta o se siamo qui per questa intervista, è stato anche grazie a lei. Ma non voglio restare ingabbiata. Il mio percorso non è solo quel personaggio”.

Giovanna Sannino Mare FuoriUS Ni.Co

Carmela nella quinta stagione di Mare fuori ha affrontato un enorme cambiamento: come se lo è spiegato?

“Il dolore può trasformarti. Quando perdi qualcuno con la forza, è una ferita che può trasformarti in demone. In quella stagione, Carmela vede solo rabbia. È come se il lutto l’avesse portata a diventare ciò che mai avrebbe potuto essere. Io ho pensato: se ti togliessero ciò che ami di più… forse reagirei allo stesso modo. Quindi ho voluto esagerare, renderla estrema. È stato un esercizio drammatico, difficile, ma esteticamente potente, oltre che divertente”.

Lei ha solo 25 anni: pensa di aver esperito tutti i dolori che le è toccato vivere fino a questo punto?

“No. Ci sono ferite che si rimarginano, che non fanno più male, ma restano lì. Spesso, quando devo “entrare” in una scena, l’immagine che ho nella mente è quella delle ferite. Anche nelle scene felici, emergono le mie zone oscure. Se oggi voglio avere qualcosa da dire, è perché ho conosciuto il dolore. Non l’ho metabolizzato tutto: la mia testa non lo mette da parte. Le ferite sono utili. E, se qualcuno piange davanti a me, non mi limito a consolare: piango anch’io. Non sono spalla…”.

Le scuse, da chi dovevano arrivare, le sono mai arrivate?

“Non sempre. Il mio più grande rimpianto è non aver mai detto a chi avrei dovuto, guardandolo in faccia: “Mi hai fatto male”. Ma sono anche della mentalità che non sempre vale la pena perdere fiato con chi non capisce”.

Arriverà mai la resa dei conti?

“Potrebbe essere già arrivata, anche se in modo indiretto. Quando sono stata ospite la prima volta sul palco di Sanremo con Amadeus, prima di entrare in scena con tutto il cast di Mare fuori, pensavo a chi non aveva creduto in me o mi aveva ferita: “Ecco, guardatemi oggi”. In quell’istante, ho vissuto un senso di rivalsa: all’Ariston, potevo dire di esserci arrivata con la mia testa dura e la mia pazienza. È stata una sorta di riappacificazione con me stessa”.

Facendo riferimento al titolo del libro in cui ha raccontato la storia occorsa a suo padre (Non sempre gli incubi svaniscono al mattino), ha recuperato i sogni dell’adolescente?

“Sì. Quando ho deciso di fare questo mestiere, a 19 anni, mi dicevo: “Non puoi aver paura del domani, devi permetterti di sognare”. Ho trasformato gli incubi in storie da raccontare. E oggi quel libro, che qualcuno definisce tragico, è diventato parte di casa mia. Ridere di certe parti, ironizzare. È il mio modo di conviverci”.

Ha 300.000 follower solo su Instagram: che responsabilità sente verso chi la segue?

“Tantissima. La fascia d’età dei miei follower è giovane, e molti mi guardano come modello. Cerco di dire qualcosa, anche piccola: a prescindere dai colori politici, si ha il dovere di dire qualcosa, ragione per cui ho cercato asilo nella fondazione Una Nessuna Centomila. Non uso filtri eccessivi: voglio che conoscano Giovanna, non un avatar perfetto. Mostro le mie imperfezioni, le mie fragilità, perché non sono debolezza: sono verità. Mi ispiro poi a persone autentiche, ad attrici che non hanno paura di mostrarsi non al top o di dire sempre la verità come Anna Foglietta o Vanessa Scalera. 300.000 follower sono tanti ma so che vogliono vedere me, non un trend: se non un contenuto non va virale, pazienza. Non mi interessa essere distante: voglio farmi toccare, essere carne e ossa come chi mi segue”.

Per il suo 25° compleanno, le è arrivato un anello da parte del suo fidanzato, l’attore Gaetano Migliaccio: abbiamo una data per il matrimonio?

“In realtà non ancora, ma c’è una promessa. È stato un anno complesso per la coppia, con cambiamenti. Ci siamo detti: “Restiamo noi, a prescindere da tutto”. Gaetano mi ha regalato un anello ma molte cose non sono ancora pronte: casa, stabilità, progetti in essere. Non vogliamo correre. Ci siamo dati una “scadenza”: tra tre anni ci sposiamo. Intanto stiamo costruendo le basi per la vita insieme: famiglia lo siamo già”.

Giovanna SanninoGiovanna Sannino

Vivere in coppia quando entrambi fate lo stesso mestiere: è facile oppure no?

“C’è competizione, certo. Ma tra noi no. Quando ci sono stati momenti in cui il successo era impari, ci siamo detto che siamo squadra, non esiste un io ma un noi. L’unica “pecca” nel lavorare entrambi come attori è il domani incerto: nessuno dei due sa cosa gli riserva il futuro. Ma ci capiamo. Litighiamo (soprattutto quando lavoriamo insieme per via della maggiore confidenza), ma è naturale. La fiducia tiene.

Se uno guarda a 25 anni come “un quarto di secolo”, cosa le manca per essere felice?

“Il mio film. Quello che ho scritto con Gaetano, con empatia, ironia, insicurezze, sulla mia famiglia. Non parla di me, ma dentro ci sono io. Non so se cambierà la mia vita, ma ne ho bisogno. Vorrei recitarlo, non necessariamente dirigerlo (è troppo personale). Ma un giorno: sì, vorrei fare anche la regista. Sto studiando con Francesca Amitrano, che dirige gli ultimi episodi di Mare Fuori 6, vado sul set, osservo, imparo”.

Ma prima dovrebbe uscire in sala Carmen è partita, il film di Domenico Fortunato di cui è protagonista.

“La storia è interessante. Quando ho fatto il provino, ho incontrato regista e produttore. Tornai a casa e mi dissero: “Sei presa”. Io non avevo fatto un provino classico, ma un colloquio. Il mio personaggio non parla mai: è protagonista, ma in mutismo selettivo. Ci sono pagine intere di sceneggiatura in cui c’è solo il pensiero. Ed è stato più difficile di quanto pensassi. Non bastava stare muta: dovevo far arrivare il pensiero allo spettatore… tanto che durante le riprese mi chiudevo anch’io nel silenzio, con la gente intorno che si chiedeva cosa mi stesse accadendo”.

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