Giovanni Falcone morto nella strage di Capaci, la previsione di Sbardella è ancora un mistero dopo 33 anni

33 anni dopo la strage di Capaci, che causò la morte di Giovanni Falcone, resta il mistero della previsione del deputato di Vittorio Sbardella (Dc)

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Sono passati 33 anni dalla strage di Capaci, quella che il 23 maggio 1992 ha causato la morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. Saltati in aria sull’autostrada A29, al chilometro 5, vicino allo svincolo Capaci-Isola delle Femmine: 5 i chili di tritolo che, alle 17:58, hanno disintegrato tutto. A distanza di oltre tre decenni, però, resta ancora un mistero irrisolto: la previsione del deputato Vittorio Sbardella, appartenente alla corrente andreottiana della Democrazia cristiana, che attraverso una piccola agenzia giornalistica a lui vicina era riuscito clamorosamente ad anticipare l’attentato.

La strage di Capaci in risposta al maxiprocesso alla mafia

Sabato 23 maggio 1992, alle 17:58, una potentissima carica di tritolo piazzata sotto l’autostrada uccide Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.

Per comprendere il tragico epilogo si deve tornare indietro al 10 febbraio 1986, quando nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone di Palermo si apre il maxiprocesso alla mafia.

totò riina maxiprocessoFonte foto: ANSA
Totò Riina nell’aula bunker dell’Ucciardone, 28 febbraio 1993

A tratteggiare i contorni – e non solo – della struttura di Cosa Nostra è Tommaso Buscetta, convinto a vuotare il sacco da Giovanni Falcone.

Quasi due anni dopo, il 16 dicembre 1987 si legge la sentenza di primo grado: 19 ergastoli a tutti i capi, condannate più di 300 persone.

Per l’opinione pubblica Giovanni Falcone, il magistrato che è riuscito per primo a colpire in maniera significativa la mafia, è un eroe: rappresenta il riscatto della Sicilia, e dello Stato, sul malaffare.

Ma il 19 gennaio 1988 arriva la prima grande sconfitta della sua vita: nel Palazzo dei Marescialli, il Consiglio Superiore della Magistratura è chiamato a nominare il capo dell’Ufficio istruzione di Palermo al posto di Antonino Caponnetto (subentrato a Rocco Chinnici, ucciso il 29 luglio 1983).

L’erede, dopo il maxiprocesso, sarebbe dovuto essere proprio Giovanni Falcone: ma al suo posto viene nominato Antonino Meli, scelta giustificata dalla maggiore anzianità di servizio.

Lo stesso Falcone identificò quella decisione come una sorta di sentenza di morte: Caponnetto, pochi giorni dopo Capaci, disse proprio che Falcone aveva iniziato a morire in quel gennaio 1988.

Prima di lui, erano stati uccisi Chinnici, ma anche Beppe Montana (28 luglio 1985), Antonino Cassarà (6 agosto 1985, investigatore brillante e braccio destro di Falcone).

I prossimi nella lista di Cosa Nostra sono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: a Palermo non si è in grado di proteggerli, così vengono spediti all’Asinara, in isolamento. È li che preparano di fatto il maxiprocesso, beffati persino dallo Stato, che presenterà il conto a loro e ai rispettivi familiari: “10 mila lire al giorno per la foresteria, più i pasti”, rivelerà nel 1988 Borsellino.

giovanni falcone paolo borsellinoFonte foto: ANSA
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Le accuse a Falcone e il tentato attentato all’Addaura

Ma i problemi per Falcone devono ancora cominciare.

Nel giugno 1989 alcune lettere anonime lo accusano, insieme ai vertici della polizia, di comportamenti immorali.

Il mittente viene soprannominato dai giornalisti Il Corvo, perché si sospettava fosse un magistrato (il riferimento al piumaggio sarebbe quindi dato dalla toga, nera).

Nelle lettere c’è scritto che Salvatore Contorno, collaboratore di giustizia, sia stato usato impropriamente da Falcone, consentendogli di tornare a Palermo e concedendogli di farsi giustizia privata contro tutti gli avversari Corleonesi, storici nemici.

Le accuse si rivelano infami calunnie, ma sono solo un’anteprima di quello che accade il 20 giugno 1989: sugli scogli di fronte alla villa che il magistrato affitta all’Addaura viene ritrovata una borsa con 58 candelotti di dinamite.

Proprio su quegli scogli, con Falcone, dovevano esserci due magistrati svizzeri per rogatorie internazionali sul narcotraffico.

Il giudice confida alla sorella Maria di essere “un cadavere ambulante“, e in un’intervista parla di centri occulti di potere, capaci di orientare anche le scelte di Cosa Nostra. E avanza pure sospetti sulla presenza di politici collusi con la mafia.

Le nuove indagini della procura di Caltanissetta sull’Addaura portano alla scoperta di due uomini: il collaboratore dei servizi segreti, Emanuele Piazza, e l’agente di polizia, Nino Agostino.

addauraFonte foto: ANSA
La scogliera dell’Addaura

Si erano infiltrati in Cosa Nostra, intervengono per evitare l’attentato salvando Falcone: e per questo vengono uccisi.

Poche settimane dopo l’attentato all’Addaura, Falcone lascia l’ufficio di Istruzione e va alla Procura di Palermo dove i rapporti con Pietro Giammanco (ritenuto vicino ad Andreotti), nuovo procuratore capo, si fanno burrascosi.

Nel febbraio 1991 Claudio Martelli, ministro della Giustizia (socialista), lo chiama a Roma e gli offre il posto di direttore degli Affari penali, al Ministero della Giustizia: Falcone accetta e viene definito un traditore.

In realtà, era convinto che a Roma si potessero costruire gli strumenti che mancavano nella lotta alla mafia:

  • 41bis (all’inizio riguardava solo le rivolte in carcere, era “nato” nel 1975; dopo Capaci si inserisce il secondo comma, dedicato alle organizzazioni criminali)
  • sequestro dei beni
  • Dia (Direzione investigativa antimafia)
  • Procura nazionale

Tutte iniziative che, a Falcone morto, si sono potute utilizzare.

Le condanne definitive all’ergastolo nel maxiprocesso: Salvo Lima e Capaci

Il 30 gennaio 1992 la Cassazione conferma gli ergastoli del maxiprocesso, sancisce la validità del teorema Buscetta e spezza il mito dell’impunità della mafia.

Il 6 marzo 1992 Elio Ciolini scrive al giudice Leonardo Grassi: “Avverranno esplosioni dinamitarde e l’omicidio di un esponente politico Psi, Pci, Dc”.

La profezia si avvera appena 6 giorni dopo quando il 12 marzo 1992, a Mondello, viene ucciso Salvo Lima: è la risposta alla sentenza della Cassazione.

Lima, ruroparlamentare della Dc, faceva parte della corrente di Andreotti in Sicilia.

Il Parlamento è in stallo, non si riesce a eleggere il nuovo presidente della Repubblica e a formare il Governo: Andreotti si dimette il 24 aprile 1992, Amato viene nominato il 28 giugno 1992.

In mezzo, c’è il 23 maggio 1992: la strage di Capaci.

Due giorni dopo, il 25 maggio 1992, Oscar Luigi Scalfaro (al 16° scrutinio) diventa presidente della Repubblica.

Il 19 luglio 1992, invece, sarà ucciso Paolo Borsellino.

Il mistero della previsione di Sbardella

Due giorni prima della strage di Capaci, quindi il 21 maggio 1992, attraverso l’agenzia stampa Repubblica (che non è legato al più famoso quotidiano), il deputato Vittorio Sbardella, della corrente andreottiana della Dc, rilascia un commento che paragona lo stallo che si è creato in Parlamento alla situazione politica del 1978, anno del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro.

Il giorno dopo, il 22 maggio, invia un secondo commento che ipotizza un evento altrettanto tragico:

“I partiti, senza una strategia della tensione che piazzi un bel botto esterno come ai tempi di Moro, non potrebbero accettare di auto delegittimarsi”.

vittorio sbardellaFonte foto: ANSA
Vittorio Sbardella

Capaci, 33 anni dopo: cosa sappiamo

I processi hanno stabilito che:

  • ad azionare il telecomando a distanza, quello che ha fatto saltare in aria l’autostrada, è stato Giovanni Brusca, l’uomo che tra l’altro uccise e sciolse nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito;
  • il 26 settembre 1997 il processo agli esecutori dell’attentato si conclude con 24 ergastoli e pene inferiori per cinque collaboratori (Salvatore Cancemi, Mario Santo Di Matteo, Calogero Ganci, Gioacchino La Barbera, Giovan Battista Ferrante). In appello si aggiungeranno altri cinque ergastoli, ma dopo due annullamenti la Cassazione definirà i giudizi confermando la responsabilità di Totò Riina, Bernardo Provenzano, Francesco e Giuseppe Madonia, Pippo Calò, Pietro Aglieri e gli altri componenti della ‘cupola’;
  • uno dei processi celebrati a Caltanissetta ha messo a fuoco il ruolo di Matteo Messina Denaro che il 21 ottobre 2020 è stato condannato all’ergastolo. Decisivo, secondo i giudici, sarebbe stato il suo sostegno al piano criminale elaborato dagli uomini di Riina;
  • prima della sentenza su Messina Denaro, il 21 luglio 2020 la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta conferma la condanna all’ergastolo di altri quattro imputati – Salvatore “Salvino” Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello – e l’assoluzione di Vittorio Tutino;
  • Il 19 luglio 2023, 31 anni dopo l’omicidio di Paolo Borsellino, la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta conferma la condanna all’ergastolo del boss Matteo Messina Denaro, accusato di essere stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio;
  • il 25 settembre 2023 muore Matteo Messina Denaro.

strage-capaci-23-maggio-1992-giovanni-falcone Fonte foto: ANSA