Giusina Battaglia dalla tv con È sempre mezzogiorno ai libri: "Antonella Clerici straordinaria, le sono grata"

Dalla cucina di famiglia a un programma sulle sagre italiane, passando per molte altre vite, ansie social e un amore che resta dietro le quinte: Giusina Battaglia ci apre le porte della sua vita vera

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Giusi Battaglia, per tutti ormai Giusina, non è una chef stellata, non è una celebrità da copertina, non è una diva. È una persona normale che cucina. E lo dice proprio così, senza artifici: Non sono una chef, sono una madre che cucina. È forse proprio questo, oggi, il suo tratto più rivoluzionario. In un mondo che spettacolarizza il cibo e chi lo prepara, Giusina Battaglia lo riporta a casa. Alla cucina vera. Quella delle mamme, delle nonne, delle pizze fatte all’ultimo momento con l’impasto scongelato per consolare un figlio che torna dal dentista. Il suo programma, Giusina in cucina, è un successo consolidato e la sua presenza a È sempre mezzogiorno, il programma di Rai 1 condotto da Antonella Clerici, è ormai indispensabile, senza dimenticare che sui social la sua community cresce ogni giorno, mossa da un senso di appartenenza più che da una semplice passione per la cucina. Con La Sicilia dei sapori segreti, Giusina Battaglia firma il suo libro (il quinto) più ambizioso e personale: un viaggio emotivo, affettivo, pieno di sapori e parole, attraverso l’isola che lei chiama casa. È un libro che sa di umanità, di persone vere. Di Sicilia, certo. Ma anche di Giusina Battaglia e di tutti noi, come ci racconta in questa intervista esclusiva per Virgilio Notizie.

La Sicilia dei sapori segreti: com’è nato questo libro così diverso dai precedenti?

“È stato un progetto che avevo nel cassetto da tempo, un’idea che avevo lanciato ai miei editori e alla mia editor l’anno scorso. Negli ultimi anni, grazie al programma Giusina in cucina e alla mia presenza molto attiva sui social, ho ricevuto centinaia di messaggi da parte di persone che mi chiedevano consigli pratici: dove mangiare, dove dormire, dove comprare prodotti tipici nei luoghi che visitavo. Persone che guardavano una foto su Instagram e mi scrivevano per sapere dove si trovava quella finestra o quel panorama. Allora ho capito che, forse, era arrivato il momento di raccogliere tutti questi stimoli in un progetto più organico. Ho pensato a una guida che avesse come filo conduttore il cibo, ma non in senso tradizionale: il cibo come prodotto identitario, come memoria e materia prima che racconta un luogo. Non solo ricette (ce ne sono pochissime), ma territori, storie, gesti, tradizioni. Non pensavo che il libro avrebbe visto la luce così presto, pensavo ci fosse ancora tempo per farlo. E invece il mio editore mi ha detto: È il momento, Giusi. Tiriamo fuori quest’idea dal cassetto. E così è nato La Sicilia dei sapori segreti”.

Giusina BattagliaGiusina Battaglia

Come ha strutturato il libro? Ha avuto delle difficoltà a organizzarne i contenuti?

“Tantissime difficoltà. All’inizio non avevo idea di come impostarlo. Ho cominciato da Palermo e ho scritto il primo capitolo come se fosse un libro a sé stante: solo Palermo erano 250 pagine. Quando l’ho consegnato per capire se stessi andando nella direzione giusta, mi hanno detto: Bellissimo, ci andrei subito. Ma devi stringere. C’è una regola non scritta nell’editoria di varia: la maggior parte dei libri non supera le 256 pagine, anche per motivi di formato e stampa. La mia casa editrice, con un grande atto di fiducia e generosità, me ne ha concesse 400, mantenendo lo stesso prezzo degli altri libri. Un regalo vero e proprio. Ma comunque mi sono trovata costretta a tagliare. Ho dovuto lasciare fuori tantissimi luoghi, alcuni anche molto significativi per me. Penso a Piana degli Albanesi, a Casteltermini, a Ficuzza. Non è stata una scelta facile. Ogni taglio è stato un piccolo dolore”.

Esclusioni ma anche tantissime inclusioni, senza che queste fossero sponsorizzate. Come hanno reagito le persone che ha citato nel libro?

“Nessuno sapeva di essere nel libro. Ho scelto di non dire nulla a nessuno. Volevo che fosse una sorpresa, ma anche un gesto autentico. Un omaggio reale, non concordato. E le reazioni sono state fortissime. Andrea Giannone, un pasticcere di Scicli, mi ha chiamato piangendo. L’avevo conosciuto durante una puntata di Giusina in cucina on the road, dove avevamo fatto insieme la testa di turco, un dolce tipico. Era incredulo. Mi ha detto: Non è possibile, mi hai fatto un regalo immenso. E così molti altri: chef, albergatori, piccoli produttori. Alcuni sono rimasti anche un po’ delusi di non aver potuto salutarmi quando ero lì in visita da loro. Per esempio, a Scicli sono stata in un panificio meraviglioso, Punto Caldo. Ho comprato la colazione, me la sono mangiata in macchina, in silenzio. Il proprietario poi ha scoperto di essere nel libro e mi ha scritto: Ma perché non ti sei fatta vedere? Volevo conoscerti. Ma io preferisco così. Andare nei posti come una cliente normale. Vivere l’esperienza vera, senza filtri, e soprattutto pagare, nel rispetto del lavoro altrui”.

In questo libro racconta anche molto di se stessa. Possiamo considerarlo un libro autobiografico?

“In parte sì. Chi mi segue, in realtà, conosce già molti aspetti della mia vita. Ma questo libro li mette insieme, li organizza e li arricchisce. Racconto la mia infanzia, la mia famiglia, i luoghi in cui sono cresciuta, come Cerda, Scillato, Palermo. Non è un’autobiografia pura, ma sicuramente è il libro più personale che abbia mai scritto. Lo abbiamo chiamato guida sentimentale proprio per questo. Ogni posto citato ha un significato profondo per me, spesso affettivo. A Cerda, per esempio, dove ho vissuto i miei primi anni di vita, c’era il bar di famiglia, gestito da mio padre e poi da mio zio. Io ci passavo le giornate, tra granite e brioche, a osservare le persone, ascoltare i racconti degli adulti, respirare quell’aria di paese che oggi mi manca tanto. Quel bar era un punto di riferimento per tutti, un luogo dove si incrociavano vite, sapori e storie. In un certo senso, è lì che ho cominciato a capire quanto il cibo potesse essere un linguaggio. A distanza di anni, mi rendo conto che molti dei miei ricordi più vivi e più dolci nascono proprio da quelle estati a Cerda, da quel banco di bar, da quelle mattinate passate tra il profumo del caffè e il rumore delle tazzine. È stato anche un viaggio nella memoria: ho ricordato la mia infanzia, i giochi in campagna, i gesti dei miei nonni, le feste, i profumi, i sapori. Il cibo è stato la chiave per entrare in contatto con quelle emozioni. Anche i miei figli, Luca e Marco, hanno partecipato nelle pagine finali: uno ha disegnato la Sicilia che si vede in copertina, a mano libera, senza ricalcare. L’altro ha scritto un piccolo testo, in cui dice: Tutti conoscete una cuoca siciliana di nome Giusina Battaglia, ma in realtà è mia madre. Quando ho letto quella frase ho pianto. Perché in fondo questo libro è anche per loro, che hanno sopportato la fatica del mio lavoro”.

C’è un ricordo intimo che l’ha commossa particolarmente mentre scriveva?

“Sì, quello legato alla mia nascita. L’ho raccontato nel libro per la prima volta con tutti i dettagli. Sono nata nella notte del Festino di Santa Rosalia, la patrona di Palermo. Ma la mia nascita non fu semplice: avevo una grave problematica di salute. Mia madre, in quel momento difficilissimo, fece un voto a Santa Rosalia. Si affidò completamente a lei. Disse: Se mia figlia vivrà, ogni anno la porterò a ringraziare la Santa. E così ha fatto, per anni. Tra gli ex voto nella cappella della Santa, ce n’è anche uno per me. Raccontarlo è stato toccante. Scrivere questo libro ha fatto riaffiorare tanti episodi profondi che tenevo nel cuore”.

Sua madre ha un ruolo molto presente nel libro. Che rapporto avete?

“Mia madre è il mio pilastro. È stata ed è una figura fondamentale nella mia vita. Una donna forte, indipendente, dirigente delle Poste, lavorava tantissimo. Ma nonostante questo, è riuscita a trasmetterci i valori fondamentali: il rispetto, la dedizione, l’onestà. Ci ha responsabilizzati fin da piccoli. Io, mio fratello e mia sorella cucinavamo per lei quando tornava a casa tardi. Eravamo bambini, ma già pronti a preparare la cena. Quando ho deciso di scrivere il libro, sono tornata a Palermo e ho lavorato da casa sua. Scrivevo e ogni tanto le chiedevo: Mamma, ma lo sapevi che…?. E lei, spesso, mi rispondeva di no. Questo mi ha fatto capire che anche chi è siciliano, chi vive lì da una vita, ha ancora tanto da scoprire della propria terra. E questa è stata una grande motivazione in più per scrivere”.

Quanto tempo le è servito per scrivere il libro, che mescola sapientemente cucina, antropologia, storia, letteratura e vita vissuta? Ha fatto molte ricerche?

“L’ho scritto in tre mesi, da aprile a metà luglio. Tre mesi intensissimi in cui ho lavorato 16 ore al giorno. Dormivo pochissimo, due ore a notte al massimo. Mi sono immersa totalmente nel lavoro. Ho fatto tantissime ricerche: ho consultato i Presìdi Slow Food, l’elenco dei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali), ho studiato la storia dei borghi, ho parlato con persone del posto, letto pubblicazioni locali. Ogni pagina è frutto di un’indagine profonda. E poi scrivevo sul momento, mentre giravo il mio programma televisivo. Per esempio, mentre ero a Trapani per una puntata, ho scritto il capitolo su Trapani. C’è stata una sorta di fusione tra esperienza e scrittura. Non è stato solo scrivere: è stato vivere, sentire, assaporare, e poi trasformare tutto in parole”.

Solo chi non fa non sbaglia. C’è un errore che le è dispiaciuto commettere nel libro?

“Sì, c’è un errore che mi ha colpita molto. Ho attribuito Piano Battaglia, località che da piccola nella mia ingenuità si chiamasse così perché della mia famiglia, a Petralia Soprana, quando in realtà si trova nel territorio di Petralia Sottana. Me lo ha fatto notare con molta gentilezza il sindaco stesso. Mi è dispiaciuto, perché so quanto i dettagli territoriali siano importanti per chi vive quei luoghi. Ma sono umana, e può succedere. Spero che ci sarà una ristampa in cui poter correggere questo errore”.

La sua vita è un viaggio. Quante vite crede di aver vissuto fino a oggi?

“È una domanda bellissima. Io ho vissuto tante vite, e convivono tutte dentro di me. Mi sento ancora una bambina, ancora figlia e ho la fortuna di avere ancora i miei genitori. Ricordo tutto quello che ho fatto, anche come ero vestita in certi momenti importanti della mia vita. Non dimentico mai da dove arrivo. Vivo tante vite perché non ho mai perso pezzi di me per strada: c’è la Giusi bambina, la Giusi studentessa, quella che faceva l’ufficio stampa, quella che cucinava per la famiglia e poi ha pubblicato una foto su Instagram… e da lì tutto è cambiato. Quando mi rivedo in video, per esempio in un’ospitata da Caterina Balivo su Rai Uno, mi commuovo. Mi chiedo ancora come sia potuta capitare a me una fortuna così grande. E a volte ho paura che tutto questo debba essere bilanciato da qualcosa di negativo, come se dovessi pagarlo. Perché so che per molti non me lo merito: perché non ho studiato cucina, non ho un diploma da chef. Ma io non insegno tecnica, io cucino come si fa a casa. E l’unica garanzia che posso dare è che ogni piatto che preparo è buono. Lo provo, lo rifaccio, lo assaggio. Tutte le mie ricette sono provate, tutte sincere. Magari non c’è la tecnica, ma c’è il cuore. E sono grata, ogni giorno, a chi ha creduto in me. A Gesualdo Vercio, che ha visto una luce in me e mi ha dato questa possibilità. E ad Antonella Clerici, che è un’icona, una donna straordinaria che ti prende sotto la sua ala. Io sono entrata in un mondo fatto di chef, ma sono stata accolta con affetto e rispetto. E ancora oggi, quando penso che sono su Rai Uno all’ora di pranzo a preparare le ricette della mia vita, come i cartocci del mio bar Battaglia, mi sembra impossibile. È il massimo. E io non lo do per scontato nemmeno un secondo”.

L’abbiamo citata spesso: qual è il più grande insegnamento che le ha lasciato sua madre e che oggi trasmette ai suoi figli?

“Parlando della cucina, sicuramente l’amore per il cibo è qualcosa che ho ereditato da lei e che sto trasmettendo ai miei figli. Ma l’insegnamento più grande di mia madre è che nella vita nessuno ti regala niente. Ed è esattamente quello che cerco di insegnare anche ai miei bambini. Quando, proprio in chiusura del libro, un giorno mi hanno detto: Mamma, siamo stanchi, non ci sei mai, non giochi con noi, io ho risposto che la vita è fatta anche di sacrifici. Ho detto loro che a me nessuno ha regalato niente. Mia prima macchina me la sono comprata da sola, con dieci anni di rate, perché i miei genitori non potevano permetterselo. Anche il motorino me lo sono pagata con i miei soldi. Ma non è solo una questione pratica: è una filosofia di vita. Quando mi sono trasferita a Milano ho vissuto momenti durissimi, perché Milano all’inizio non mi voleva. Era una città respingente. Io pensavo che mi aspettassero a braccia aperte, e invece ho dovuto lottare per farmi spazio. E oggi, dopo vent’anni, posso dire di avercela fatta. Mia madre mi ha insegnato a crederci sempre, ad andare fino in fondo. E io credo davvero che nella vita tutto ciò che ho ottenuto me lo sono andato a prendere. Come con Cannavacciuolo: lo vidi in tv dodici anni fa, scrissi su Facebook che volevo lavorare per lui, anche gratis. Poi con il tempo sono riuscita a incontrarlo, a fare i colloqui, a conquistarmi il mio posto. Oggi sono la sua ufficio stampa, ed è un onore. Lo stesso con Antonella Clerici: l’ho sempre ammirata, ho sempre desiderato conoscerla, sin dai tempi in cui conduceva Dribbling: ho lavorato per cinque anni come giornalista sportiva perché lei era il mio mito. Oggi non solo la conosco: lavoro con lei. Sono prove che quando vuoi qualcosa davvero e ci metti impegno, prima o poi accade. E questo è ciò che spero di trasmettere ai miei figli ogni giorno”.

Nei momenti più difficili della sua vita, a chi si è rivolta?

“Qualsiasi cosa mi succeda, la prima cosa che faccio è condividerla con la mia famiglia. Anche una semplice foto carina, la mando subito nel gruppo famiglia: è un modo per sentirmi connessa a loro. Quando c’è un problema, il primo con cui ne parlo è mio marito, perché è accanto a me fisicamente. A volte racconto le cose a mia madre solo dopo, per non farla preoccupare. Mi ricordo ancora il giorno in cui, durante la gravidanza, ho rischiato di perdere i miei figli. È stato un momento drammatico. Ho dovuto chiamare mia madre per dirle che mi stavano ricoverando d’urgenza, che mi avrebbero operata perché i bambini erano in pericolo. Lei non capiva, continuava a ripetere: Ma che stai dicendo? Perché è successa questa cosa?. E io: Mamma, forse era meglio che non te lo dicevo… Non so perché è successo. È successo, doveva succedere. Lei non si dava pace, anche perché il giorno prima era tutto perfetto. E aveva ragione. È stato uno shock improvviso. Per fortuna, in quel momento così difficile, mio marito era con me. E in tutte le difficoltà che abbiamo affrontato – e ce ne sono state – lui non mi ha mai lasciata sola.

Lei è molto esposta pubblicamente, ma riesce a mantenere uno stile personale molto sobrio. Che rapporto ha con la sua immagine?

“La cosa che cerco sempre di far capire è che io sono una persona normale. Non mi sento affatto una persona importante, non ho niente di speciale. E, come tante persone normali, ho i miei problemi. Solo che sui social si vede quasi sempre la parte sorridente, perché io non amo esporre troppo la mia vita privata. Ad esempio, in tanti mi hanno scritto insinuando che fossi una mamma single, che mio marito non esistesse o addirittura che fossi vedova, solo perché non lo mostro online. Ma semplicemente rispetto la sua scelta: lui non ama i social, non li usa, ha WhatsApp per miracolo. E io lo tutelo. Questo non significa che non ci sia: mi aiuta, c’è sempre, solo che sta dietro le quinte. E va benissimo così. A volte ricevo messaggi assurdi. Una volta una persona ha smesso di seguirmi perché era convinta che mi fossi rifatta il naso come Diletta Leotta. Premesso che non mi sono mai fatta niente (ho paura degli aghi solo all’idea!) e che tra l’altro trovo Diletta bellissima e molto in gamba, mi ha colpito questo modo di giudicare. Come se fosse uno scandalo guadagnare dal proprio lavoro. Ma anche se fosse: perché non dovrei poter vivere del mio impegno? La realtà è che dietro a tutto quello che faccio c’è tantissima fatica. I testi me li scrivo da sola, mi preparo le ricette, faccio prove, ricerche, lavoro ai contenuti dei libri e della tv personalmente. Non vado solo in televisione a parlare: preparo ogni dettaglio. E questo è qualcosa che spesso chi guarda non vede. Non vivo “di televisione”. Vivo del mio lavoro, di tutto ciò che costruisco ogni giorno. E sono grata di poter parlare a così tante persone. Ma non lo considero solo un privilegio: è una responsabilità. Perché quando hai una voce pubblica, hai anche il dovere di pesare le parole, rispettare la sensibilità di chi ti ascolta, comunicare qualcosa di buono. Io non voglio insegnare nulla, ma ci tengo a dare un messaggio: sono una persona qualunque, che ha avuto la fortuna di potersi raccontare a un pubblico più ampio. E questa fortuna me la voglio meritare ogni giorno”.

Quando cucini per se stessa o per la sua famiglia, qual è la sua “coccola”?

“La pizza. Sempre. Anche quando non è prevista. Per esempio, qualche sera avevo dell’impasto surgelato, avanzato da un’altra volta. Ho tirato fuori l’impasto, l’ho fatto rinvenire, ho acceso il forno e in dieci minuti abbiamo fatto anche le montanare, le preferite di mio figlio Luca. È un gesto semplice, ma dice tutto. A casa nostra la pizza è casa, è affetto, è attenzione. Ecco, la cucina per me è questo: un modo per prendersi cura degli altri, in silenzio, senza fare rumore”.

I suoi figli apprezzano tutto quello che cucina? O sono un po’ schizzinosi?

“Sono molto schizzinosi, in realtà. Ma io ho le mie regole. Siccome preparo tante cose buone per la merenda, soprattutto torte, vale questa regola: o mangi questo, o niente. Non accetto che aprano la dispensa e si prendano una merendina confezionata, è un’offesa! Se so che a Luca piace la torta al cioccolato e a Marco quella bianca o alle carote, gliela preparo apposta. Perché devono mangiare qualcosa di industriale se io gli faccio una torta di carote con le mie mani? L’altro giorno, per esempio, ho fatto delle focaccine di zucca. A Milano c’è un supermercato che vende delle focaccine che i bambini adorano. Sono una droga: costano un sacco, ma ogni volta che faccio la spesa le compro perché le amano. Quel giorno, invece, ho deciso di farle io. Quando gliel’ho detto, erano entusiasti: Mamma, le focaccine!. No, non sono quelle lì, le ho fatte io. Le hanno mangiate. E ho anche un video, che lo testimonia: a un certo punto chiedo Qual è l’ingrediente segreto? e uno dei due risponde La zucca? con quello sguardo tipo Oddio!, perché va in panico. Ma poi, per non farmi rimanere male, mi dice: No, mamma, sono più buone di quelle del supermercato!. E lì ho vinto”.

E se, invece, dovesse associare la sua vita a un piatto siciliano, quale sarebbe?

“La mia vita è una caponata. Senza dubbio. È un piatto che contiene tutto: colore, sapore, dolcezza e amarezza. È allegro, come me. È un piatto inclusivo, democratico, per tutti: dentro ci sono ingredienti diversi che convivono e si valorizzano a vicenda. Come nella mia vita, fatta di contrasti e armonie. La cucina siciliana, in generale, è molto aperta: c’è spazio per chi mangia tutto ma anche per chi sceglie uno stile alimentare diverso. Io rispetto profondamente chi fa scelte etiche o salutiste, come essere vegani o vegetariani. La caponata è perfetta anche per loro: è un piatto ricco di storia e significato, che non ha bisogno di carne o pesce per essere speciale. Mi rappresenta anche nel carattere: è dolce e agra, come certi momenti della mia vita. Io sono una persona solare, ma so anche arrabbiarmi… e quando succede, lo faccio sul serio. Non ho mezze misure. Sto lavorando su me stessa, sull’impulsività, sul rispondere troppo di getto magari anche via WhatsApp. A volte mi pento subito, ma ormai ho scritto. Cerco di migliorarmi, anche perché il rapporto con le persone mi ha insegnato tanto. La gentilezza, per me, è fondamentale. La pretendo e la pratico. Credo che se tutti fossimo un po’ più gentili, la vita sarebbe più bella”.

La tv: come si sente prima di andare in diretta?

“Dipende. Se è una puntata del mio programma, registrato, ho una certa tranquillità. Ma se sono ospite a È sempre mezzogiorno con Antonella, l’emozione è forte. Faccio il segno della croce, respiro e vado. Antonella riesce sempre a mettermi a mio agio, anche nei momenti in cui posso non essere performante, come accaduto di recente quando ero alle prese con un violento mal di testa: è una donna straordinaria”.

E come gestisce gli imprevisti durante una diretta?

“Con calma. Gli imprevisti capitano, eccome. Una volta l’induzione non partiva e l’olio era ancora freddo. Ma avevo già fritto prima, per sicurezza. Ho imparato che bisogna sempre avere un piano B. Gli imprevisti fanno parte del gioco, e se li affronti col sorriso diventano momenti memorabili”.

L’ultima pagina del suo libro si chiude con una citazione di Antonio Laspina, che sembra preannunciare già quello che accadrà…

“Antonio Laspina è il presidente dell’UNPLI, l’Unione Nazionale delle Pro Loco d’Italia. E proprio con lui ho realizzato un nuovo progetto che uscirà il 12 novembre su Food Network sulle Sagre d’Italia ed è il mio primo programma al di fuori dei confini siciliani. Abbiamo girato in giro per l’Italia, visitando le sagre più autentiche e particolari, spesso in piccoli paesi dell’entroterra. È stato bellissimo. Stiamo ancora girando: saranno dieci puntate, ne abbiamo già registrate otto. Abbiamo toccato regioni come la Lombardia, la Sardegna (dove ho lasciato il cuore tra Urzulei e Baunei), la Basilicata, la Calabria, il Lazio, l’Abruzzo, l’Emilia-Romagna e ovviamente la Sicilia, che all’inizio sembrava saltare ma alla fine è rientrata. Il programma andrà in onda in prima serata, alle 22. È un’esperienza che mi ha emozionata tantissimo: raccontare l’Italia vera, quella che spesso non conosciamo. Io ho un debole per la provincia, lo dico sempre. Anche nel mio libro ho dato spazio più ai paesi che ai capoluoghi, perché sento fortemente questa esigenza di autenticità, di semplicità. Anche per la promozione del libro sto scegliendo proprio i luoghi raccontati, inclusi quelli più piccoli. Lì la gente ha un’energia diversa, più diretta, più sentita. È faticoso, certo: quest’estate ho lavorato senza sosta, girando con 50 gradi, senza ferie vere. Il 26 luglio ero su un set, il 4 luglio pure, e a fine agosto ancora. Ma ne è valsa la pena. Ho partecipato a tanti eventi: dal Cous Cous Fest alla Sagra della Pesca di Bivona, dalla Sagra della Busiata a Salemi alla Festa dell’Olio a Caltabellotta. È stato intenso, ma bellissimo. Raccontare i territori, per me, è una missione”.

giusina-battaglia Giusina Battaglia