Nek commosso dalla storia di Gioia, una bimba con una rara malattia mortale : "Destino crudele e ingiusto"
Nek ha realizzato un video per sostenere la ricerca sulla leucodistrofia metacromatica: di cosa si tratta e perché uno studio (italiano) può contribuire alle cure
Il nome è complicato, così come complicato è trovare una cura per la leucodistrofia metacromatica, una rara malattia neurodegenerativa che porta alla morte. Se ne parla poco, ma tra coloro che si sono impegnati in prima persona a sostegno della ricerca scientifica c’è Nek, all’anagrafe Filippo Neviani. Il cantautore, infatti, ha realizzato un video per una campagna di sensibilizzazione, commosso dalla storia di Gioia, una bambina dell’Emilia-Romagna. L’intervista a Francesca Fumagalli, specialista in Neurologia presso l’Unità di Immunoematologia Pediatrica e l’Unità di Neurologia, Neurofisiologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e co-autrice dello studio.
- Il video di Nek
- Lo studio guidato dai ricercatori italiani
- Cosa è emerso dalla ricerca
- L’intervista a Francesca Fumagalli
Il video di Nek
Nek ha deciso di “metterci la faccia e anche la voce” perché “individuare la malattia nei primi giorni di vita è essenziale per accedere a terapie che possono fare la differenza tra la vita e la morte”.
Da qui l’appello a estendere gli screening neonatali, insieme alla necessità di sostenere la ricerca per trovare nuove cure contro la malattia, poco nota, ma mortale.
Come ha spiegato lo stesso cantante nel video, realizzato insieme all’Associazione Voa Voa! Amici di Sofia APS e alla mamma di Gioia, quello che aspetta la bambina è “un destino crudele e ingiusto che si sarebbe potuto evitare se anche in questa Regione (l’Emilia-Romagna, NdR) fosse stato attivato lo screening neonatale, come avvenuto in Toscana e Lombardia”.
Lo studio guidato dai ricercatori italiani
L’aver scoperto in maniera tardiva la patologia ha escluso la possibilità di poter sottoporre la bambina a un nuovo trattamento – a base di cellule staminali ematopoietiche geneticamente modificate – messo a punto da un team internazionale guidato da ricercatori italiani dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) dell’IRCCS Istituto Scientifico San Raffaele di Milano, che ha dimostrato l’efficacia nella riduzione delle conseguenze negative della patologia.
Cosa è emerso dalla ricerca
Alla ricerca hanno collaborato diversi dipartimenti e unità dell’ospedale San Raffaele, insieme al Dipartimento di Chimica, Biologia e Biotecnologie dell’Università di Perugia, all’Università Vita-Salute San Raffaele e all’azienda Orchard Therapeutics.
Consentirebbe di ottenere benefici, ma solo se la terapia innovativa viene infusa nella fase pre-sintomatica o comunque in presenza di sintomi lievi della leucodistrofia metacromatica, che altrimenti porta a una grave compromissione delle funzioni motorie e cognitive.
L’intervista a Francesca Fumagalli
Che tipo di malattia è la Leucodistrofia metacromatica, quali i sintomi e quali le compromissioni che porta?
“La leucodistrofia metacromatica è una malattia neurodegenerativa progressiva che appartiene al gruppo delle malattie lisosomiali (da ricondurre ad anomalia genetica, NdR). È caratterizzata dall’accumulo di particolari sostanze chiamate ‘sulfatidi’ in alcuni tessuti dell’organismo e soprattutto nella guaina mielinica, che avvolge le cellule nervose. Di solito i genitori sono portatori sani delle mutazioni genetiche e hanno una probabilità su 4 di trasmettere la malattia a ciascuno dei figli”
Quali sono le conseguenze e quando compare, generalmente?
“Ne esistono diverse forme, ma tutte comportano un progressivo deterioramento delle funzioni motorie e neurocognitive, con diversa gravità a seconda proprio dell’età di insorgenza. Le forme infantili e giovanili sono le più gravi: i bambini perdono completamente la capacità di muoversi, la capacità di parlare, ma comunicano ancora con lo sguardo, la risata e il pianto. Nella fase terminale si perde anche questa capacità e i piccoli pazienti riescono a malapena a muovere gli occhi, facendo fatica a deglutire. Nell’arco di qualche anno dalla diagnosi il decorso della malattia ha un esito infausto”.
Qual è il picco di incidenza?
“A seconda dell’età di insorgenza e della gravità dei sintomi si distinguono quattro principali forme cliniche: tardo-infantile (insorgenza tra i 30 mesi e 2 anni e mezzo); giovanile precoce (insorgenza tra i 2 anni e mezzo e i 6 anni); giovanile tardiva (insorgenza tra i 6 e i 16 anni); adulta (insorgenza dopo i 16 anni)”.
Oggi, però, si può contare su una terapia innovativa. È già disponibile?
“Va fatta una premessa: in passato la patologia era considerata incurabile. Poi ha conosciuto una vera svolta alla fine del 2020, quando è stata approvata nell’Unione europea la prima terapia genica al mondo, frutto di oltre 15 anni di ricerca dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano e dell’alleanza strategica tra Fondazione Telethon e Ospedale San Raffaele con l’azienda anglo-americana Orchard Therapeutics, che ha portato alla commercializzazione della terapia con il nome di Libmeldy. In Italia la terapia è rimborsata dal sistema sanitario nazionale dal 2022. Nel 2024 la terapia è stata approvata anche negli Usa con il nome commerciale di Lenmeldy”.
In cosa consiste, come funziona?
“Questo farmaco viene somministrato tramite un’unica infusione e prevede il prelievo delle cellule staminali ematopoietiche del paziente, ovvero quelle staminali che danno origine a tutti gli elementi del sangue. Le cellule vengono poi corrette con un vettore lentivirale (derivato cioè da una versione modificata e innocua del virus HIV) che consente di inserire nel loro patrimonio genetico una o più copie funzionanti del gene ARSA. Queste cellule geneticamente modificate vengono poi reinfuse nel paziente: la loro capacità di attraversare la barriera emato-encefalica, permette di correggere la disfunzione all’origine della malattia in modo continuo e a seguito di un singolo trattamento”.
Questo trattamento innovativo può aiutare i bambini?
“Questa terapia genica è indicata proprio per i bambini con le forme tardo-infantile o giovanile-precoce che ancora non abbiano manifestato i segni clinici della malattia e per quelli con la forma giovanile precoce che, pur presentando le prime manifestazioni cliniche della malattia, siano ancora in grado di camminare in modo indipendente e non abbiano ancora presentato un declino delle capacità cognitive. In futuro è auspicabile che, grazie alla disponibilità di test di screening neonatale, questa terapia possa essere offerta a un numero sempre maggiore di pazienti”.
Per questo, dunque, sono importanti i test neonatali. Ma quanto è importante proseguire la ricerca in questa direzione?
“Attualmente la terapia genica è in fase di sperimentazione presso l’Ospedale San Raffaele anche su pazienti con la forma giovanile tardiva della malattia, per estendere l’indicazione del farmaco. Inoltre, grazie al supporto della Fondazione Telethon, i ricercatori dell’SR-TIGET stanno studiando anche un approccio di terapia genica in vivo, che prevede l’iniezione del vettore direttamente nel cervello in forme di malattia in cui la terapia genica non è indicata”.
Ci sono altri studi in corso al momento, in particolare in Italia?
“Sul fronte della diagnosi sono in corso in Italia due studi pilota che, insieme ad altri avviati nel resto del mondo, stanno contribuendo alla validazione di un test di screening neonatale per la diagnosi precoce della patologia: il primo, in Toscana, è coordinato dall’AOU Meyer IRCCS di Firenze e finanziato anche grazie all’Associazione Voa Voa Amici di Sofia (quella per la quale si è impagnato anche Nek, NdR), mentre quello lombardo è promosso da Fondazione Telethon ed è coordinato dall’Ospedale dei Bambini “Vittore Buzzi” di Milano. Ad oggi, tra i circa 50mila bambini toscani e lombardi sottoposti al test, non è stato individuato alcun positivo, mentre nel resto del mondo sono 4 i bambini che, in Germania e in Inghilterra, hanno potuto ricevere la terapia genica perché diagnosticati tempestivamente grazie allo screening. Considerata l’estrema rarità della malattia, è fondamentale che il test venga esteso quanto prima al maggior numero possibile di bambini, per offrire la terapia genica quando è possibile intervenire”.
