Sfogo di Raffaele Sollecito, "si può rovinare la vita di un innocente, lo sto vedendo di nuovo con Garlasco"
Raffaele Sollecito parla del caso Garlasco e denuncia lo stigma: "Anche da innocente resti marchiato". I possibili paralleli fra i due casi
Raffaele Sollecito, assolto per il caso Meredith Kercher, ha pubblicato un video sui social in cui riflette sul pregiudizio e cita il caso di Garlasco come esempio di giustizia mediatica. Nel suo discorso, Sollecito denuncia come, anche dopo l’assoluzione, resti lo stigma sociale e una sorta di “prigione” creata dal giudizio delle persone.
Il video Raffaele Sollecito
Non basta un’assoluzione per sentirsi liberi: a sostenerlo è Raffaele Sollecito, che attraverso un video pubblicato sui suoi canali social, torna a riflettere pubblicamente sul tema della giustizia e del pregiudizio.
Parlando del caso di Garlasco, l’ingegnere informatico, assolto in via definitiva per l’omicidio di Meredith Kercher, ha espresso solidarietà e amarezza per i meccanismi mediatici che, secondo lui, tendono a “marchiare” anche chi è stato riconosciuto innocente.
ANSA
Amanda Knox, assolta dalle accuse relative al delitto di Perugia come Raffaele Sollecito
“Ci sono storie che non finiscono, anche quando la giustizia dice che sei innocente” esordisce Sollecito. “La mia è così. Viviamo in un mondo dove si censurano battute fatte verso le minoranze, ma si può facilmente rovinare la vita di un innocente o far finta di nulla”.
La citazione del caso di Garlasco
Sollecito si dice “intristito” per il fatto di vedere, nel caso di Garlasco, dinamiche simili a quelle da lui vissute:
“Il marchio che mi porto addosso non è una colpa, è uno stigma. E quello non toglie nessuna sentenza, nemmeno una di assoluzione. Di fatto oggi il politically correct difende tutto e tutti, tranne chi non ha fatto nulla. Ancora oggi mi sento costretto a dimostrare di non essere quello che hanno raccontato di me. Mi capita spesso di doverlo sentire, di doverlo dimostrare quando entro in un bar, quando vado a fare qualche commissione”.
L’ex imputato racconta anche la fatica di convivere con il giudizio degli altri: “Quando leggo nello sguardo delle persone un pregiudizio o un atteggiamento di sapere o conoscere cose che in realtà non sanno di me, e colmare quella distanza che c’è fra chi sono e quello che leggo nello sguardo delle persone che mi circondano”.
“In un mondo come questo una sentenza di assoluzione non ti libera” conclude “ma spesso ti porta in una nuova prigione, quello del giudizio e dello sguardo delle persone”.
Raffaele Sollecito e Garlasco
Raffaele Sollecito, oggi 40enne, è noto per essere stato uno dei principali imputati nel caso Meredith Kercher, il delitto di Perugia del 2007 che lo vide coinvolto insieme ad Amanda Knox. Dopo anni di processi, fu assolto in via definitiva nel 2015 dalla Corte di Cassazione, che riconobbe l’assenza di prove a suo carico.
Il suo richiamo al caso di Chiara Poggi è legato ad alcune dinamiche comunicative e di opinione pubblica, che mostrerebbero delle analogie con la sua storia: la costruzione di un colpevole mediatico, il peso dell’esposizione pubblica e la difficoltà di liberarsi dal giudizio sociale anche dopo la sentenza.
Il suo intervento, infatti, non è tanto una difesa personale quanto una riflessione più ampia sul rapporto tra giustizia, informazione e percezione collettiva. Una denuncia che solletica il dibattito sul ruolo dei media nei grandi processi italiani e sulla difficoltà, per chi è stato al centro di vicende giudiziarie, di tornare davvero a una vita normale.
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