Un terremoto catastrofico noto come Big One lungo la zona di subduzione della Cascadia rappresenta una delle più gravi minacce naturali per la costa occidentale degli Stati Uniti.
Mentre tutti temono quello che è stato già definito il terremoto del secolo, l’attenzione si concentra anche sul rischio di tsunami o sul cambiamento climatico. Nuove ricerche rivelano come l’abbassamento improvviso del terreno a causa di un terremoto possa causare danni devastanti, anche in assenza di scosse imminenti.
Cosa accadrebbe se il “Big One” colpisse oggi
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista PNAS, esiste il 15% di probabilità che un terremoto di magnitudo 8 o superiore colpisca la zona di subduzione della Cascadia nei prossimi 50 anni. Le simulazioni mostrano che un evento del genere farebbe sprofondare improvvisamente il suolo costiero fino a due metri, trasformando radicalmente l’assetto idrogeologico delle regioni interessate.
La zona della Cascadia, che si estende dalla California settentrionale alla Columbia Britannica, ha già sperimentato un sisma simile nel 1700, con una magnitudo stimata tra 8.7 e 9.2. Il conseguente tsunami arrivò fino alle coste del Giappone. Oggi, un terremoto con le stesse caratteristiche non solo causerebbe uno tsunami devastante, ma vedrebbe anche più aree a rischio allagamento, con impatti duraturi su popolazione, infrastrutture e ambiente.
Secondo le proiezioni, se il Big One avvenisse oggi oltre 14.000 residenti e 22.500 edifici si troverebbero improvvisamente all’interno della zona ad alto rischio. Sarebbero colpiti anche 775 miglia di strade, 18 strutture critiche come scuole, ospedali e stazioni di polizia, cinque aeroporti, otto impianti di trattamento delle acque reflue e dozzine di fonti potenziali di contaminazione ambientale.
Perché la subsidenza è più pericolosa del previsto
Il vero pericolo non è solo la scossa in sé, ma l’abbassamento permanente della linea costiera che ne consegue. Il fenomeno della subsidenza, accentuato dall’innalzamento del livello del mare dovuto al cambiamento climatico, rischia di rendere inabitabili ampie zone di costa. Secondo le previsioni, per il 2100 la combinazione di subsidenza e innalzamento del mare potrebbe causare un aumento dell’esposizione alle inondazioni fino al 218% rispetto ad oggi. Le conseguenze sarebbero estremamente pesanti per intere comunità, costrette all’abbandono dei territori o a lunghi processi di ricostruzione.
I terreni agricoli, in particolare quelli bonificati per l’allevamento o la coltivazione, rischierebbero la una salinizzazione irreversibile. Gli ecosistemi costieri come le zone umide e le dune, fondamentali per la protezione da tempeste e mareggiate, potrebbero andare perduti per sempre, senza possibilità di migrazione verso l’interno a causa dello sviluppo urbano e della conformazione del terreno.
Come ricorda la geologa Tina Dura, fenomeni simili si sono già verificati: il terremoto del Cile del 1960 trasformò foreste e fattorie in paludi salmastre. Quello dell’Alaska del 1964 costrinse allo spostamento di interi villaggi. La stessa dinamica potrebbe ripetersi nel Pacifico nordoccidentale, con un impatto aggravato dai cambiamenti climatici.
Infine, lo studio evidenzia che il rischio non è limitato agli Stati Uniti: altre zone di subduzione come quelle di Alaska, Giappone, Indonesia e Sud America condividono lo stesso potenziale distruttivo. Mentre la minaccia del Big One resta incombente, gli esperti avvertono che sottovalutare gli effetti secondari del terremoto, come l’aumento del livello del mare, potrebbe rivelarsi un errore fatale.