A guardarlo da lontano l’Etna ha l’aria di chi conosce bene il proprio potere. Si erge imponente sulla Sicilia orientale e da secoli alterna stati di quiete a eruzioni improvvise, come se respirasse a un ritmo che non ci appartiene. Ma sotto quella superficie nera di lava e cenere, il vulcano non dorme mai. Il magma si muove, cerca strade, spinge verso l’alto. E adesso, per la prima volta, riusciamo a seguirlo con una chiarezza mai vista prima.
Un team di ricercatori dell’Università di Padova, insieme all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), ha ricostruito un’immagine tridimensionale dell’interno dell’Etna. Non è una fotografia, ma qualcosa di più profondo: una mappa dinamica delle fratture, dei condotti, dei serbatoi nascosti. È come aver aperto una finestra sul cuore di uno dei vulcani più attivi d’Europa. E quello che si vede è sbalorditivo.
La mappa segreta scoperta dagli scienziati
Per arrivare a questo risultato ci sono voluti dieci anni di dati, più di 37.000 segnali sismici registrati tra il 2006 e il 2016, e una tecnologia che fino a poco tempo fa sembrava roba da fantascienza. Si chiama tomografia sismica anisotropa, ed è un modo per “leggere” la Terra attraverso il modo in cui le onde sismiche si muovono al suo interno.
Ogni scossa, anche la più piccola, manda vibrazioni che attraversano le rocce. E quelle vibrazioni raccontano storie di densità, di fluidi, di spaccature. Analizzando queste onde gli scienziati hanno costruito un modello tridimensionale della crosta terrestre sotto l’Etna, arrivando fino a 16 chilometri di profondità.
E sotto i nostri piedi hanno trovato qualcosa che non ci si aspettava: una rete di fratture verticali, simili a canne d’organo, che si diramano dal centro del vulcano verso l’esterno. Sono dicchi, condotti naturali in cui il magma si infila e risale. Come se l’Etna avesse al suo interno un sistema radiale di vene, perfettamente orientate per trasportare energia.
L’autostrada di magma sotto il vulcano
Finora si pensava che il magma trovasse vie un po’ ovunque, seguendo le fratture più deboli della crosta. Ma questo studio suggerisce che sotto l’Etna c’è una vera e propria struttura organizzata, una rete preferenziale che guida la risalita. Una specie di autostrada sotterranea della lava, che spiega perché il vulcano erutta spesso anche dai fianchi e non solo dalla sommità.
In profondità esiste anche un serbatoio magmatico pressurizzato, una zona a bassa velocità sismica dove il magma si accumula prima di trovare una via d’uscita. È da lì che parte tutto. Ed è lì che si concentrano le pressioni più forti, quelle capaci di innescare terremoti e spingere l’eruzione verso la superficie.
Non si tratta solo di un esperimento locale. Questo approccio può essere applicato ad altri vulcani, a zone sismiche attive, a giacimenti profondi. Ovunque ci sia un movimento di fluidi nel sottosuolo, le onde sismiche possono raccontarci come si muovono, dove si accumulano, e cosa potrebbe succedere.
In parole semplici oggi siamo più vicini a capire come funziona davvero un vulcano come l’Etna. Sappiamo dove si accumula il magma, quali vie preferisce per risalire, come si distribuisce lo stress in profondità. Non possiamo ancora prevedere con esattezza quando avverrà la prossima eruzione, ma stiamo imparando a leggere i segnali in modo sempre più preciso.
E questo ha conseguenze incredibili, non solo per chi vive all’ombra del vulcano, ma per tutti. Perché i vulcani, oltre a essere pericolosi, sono anche parte del sistema climatico terrestre. Influenzano l’atmosfera, il ciclo del carbonio, la composizione dell’aria che respiriamo.