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Viola Gabriele attrice in "Unicorni", film sulla varianza di genere: "Mi batto per la libertà, zero etichette"

Debutta al cinema con Unicorni e conquista il Giffoni: chi è Viola Gabriele, la sedicenne che dà voce a una generazione in lotta per identità e libertà

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Pietro Cerniglia

GIORNALISTA

Con un percorso accademico in Comunicazione, ha scritto di cinema, tv, libri e musica. Ha curato prefazioni e capitoli editoriali, collabora con testate nazionali e gestisce il database di un sito dedicato al cinema.

Viola Gabriele, classe 2008, è la voce nuova e potente di un’adolescenza che rifiuta le etichette. Romana, grintosa, sensibile, fa il suo esordio al cinema da protagonista in Unicorni, il nuovo film di Michela Andreozzi – scelto per aprire l’edizione 2025 del Giffoni Film Festival – al cinema dal 18 luglio. Una pellicola che affronta con coraggio e delicatezza il tema della varianza di genere nell’infanzia, raccontando la libertà come diritto e come urgenza. Nel film, Viola Gabriele interpreta Diletta,  sorella del protagonista Blu. Diletta un’adolescente che sfida i limiti, esplora se stessa e si misura con una società che ancora fatica a capire chi sceglie strade diverse. Un personaggio che le somiglia, ma che l’ha anche obbligata a spingersi oltre.

Chi è Diletta, il personaggio che interpreta in Unicorni?

“Diletta è una ragazza che sta cercando se stessa, in pieno viaggio verso la sua identità. È forte, o almeno cerca di esserlo, ma ha un’empatia spiccata, una sensibilità che spesso la espone. Ha fragilità che tenta di nascondere, ma che inevitabilmente emergono. È un’adolescente definita ribelle, perché sfugge agli schemi. Prova, esplora, cambia. E, finché non trova il suo posto nel mondo, continua a cercarlo. In questo mi rivedo molto”.

Anche lei sta ancora cercando se stessa?

“Sì, ma è una ricerca inconsapevole. So chi sono, ho le mie idee, ma mi piace sperimentare, cambiare. Credo che continuerò a cercarmi per tutta la vita. Non mi spaventa, anzi. È parte di quello che sono”.

Recitare fa parte di questa ricerca?

“Assolutamente. Il teatro è il mio sogno da quando ho 5 anni. Più che voler diventare attrice ho sempre voluto lavorare con il teatro, perché è lì che mi sento a casa. L’idea della fama mi spaventa un po’, preferisco stare nel mio spazio, con umiltà, sul palco”.

Paura della fama?

“Sì, tanta. Per questo ho anche il profilo Instagram chiuso, cosa che di solito alla mia età è rarissima. Ma per me l’immagine pubblica è delicata. Non voglio che la mia vita diventi uno spettacolo costante. Fortunatamente, le persone che lavorano con me lo hanno capito e mi stanno rispettando”.

Com’è nato l’amore per il teatro?

“In realtà, mi ci hanno buttato i miei genitori! Ero una piccola peste: iperattiva, rumorosa, euforica. Hanno pensato che il teatro potesse incanalare quella mia energia. E avevano ragione. Dopo la prima lezione, sono uscita con un sorriso enorme: avevo capito che quella era la mia strada”.

Come si è sentita la prima volta sul palco?

“Agitata, ovvio. Ma poi l’adrenalina prende il sopravvento. È magia pura: senti che stai restituendo al pubblico qualcosa di profondo, qualcosa che hai costruito dentro. È libertà. Quando salgo sul palco mi sento libera, completamente”.

Nel film di Michela Andreozzi interpreta un personaggio molto visibile, anche nel look. Quanto c’è di suo in quella scelta?

“Tantissimo. Io cambio look continuamente: frange colorate, dread lunghissimi, abiti fuori dagli standard. È il mio modo di esprimermi. Cambiarsi è un gesto di libertà, e anche di provocazione positiva. È il mio modo di essere me stessa”.

Il suo personaggio si chiama Diletta ed è la figlia di Marta (Donatella Finocchiaro), con cui hai un rapporto conflittuale. Ha dovuto studiarlo o le è venuto naturale?

“L’ho dovuto costruire completamente. Io ho un rapporto bellissimo con mia madre, di fiducia, dialogo e rispetto. Non è la mia migliore amica, ma quasi. È il mio punto di riferimento. Marta e Diletta, invece, vivono un rapporto d’amore e odio. È stata una sfida entrare in quella dinamica”.

Sua madre le dà consigli?

“Sì, anche se sembra semplice: Fai ciò che ti fa stare bene. Lei mi accompagna nelle scelte, senza impormele. È una delle libertà più grandi che un genitore possa dare”.

Unicorni parla di identità e varianza di genere. Si è mai sentita in crisi rispetto a chi è?

“No, mi riconosco nel mio corpo e nella mia realtà. Ma sono vicina a tante persone per cui non è così. E mi batto con loro, per i diritti, per la libertà di essere chi si è”.

Lei è una ragazza della Gen Z, così come Diletta. Anche lei crede nella libertà nei sentimenti?

“Sì. Non credo ci sia un solo modo giusto di amare. L’amore è libertà, e io sono pronta a sperimentare. Vedremo cosa succede”.

Unicorni è il suo primo film. Sul set, ha mai avuto il timore di non essere adeguata?

“Tantissimo. Avevo paura di non essere all’altezza. Ma Valentina Lodovini, Edoardo Pesce e tutti gli altri mi hanno fatto sentire al sicuro. Con la loro esperienza e umanità hanno smorzato ogni ansia. Mi hanno guidata, anche senza volerlo. Mi hanno dato tantissimo”.

Qual è la sua più grande paura nella vita?

“Di non essere nessuno per le persone che amo. Vorrei lasciare qualcosa, anche di piccolo, a chi mi è caro”.

Chi le ha lasciato qualcosa di importante?

“Il mio insegnante di teatro, Francesco Montagna. Mi ha cambiata. Mi ha aperto la mente, mi ha dato nuovi modi di pensare. E poi mia nonna, nonnaPaola, tutto attaccato. Una figura fondamentale per me”.

Unicorni aprirà il Giffoni: cosa spera che arrivi ai ragazzi del Festival?

“Che la felicità è la cosa più importante. Blu, il piccolo protagonista del film, non si pone nemmeno il problema dell’identità di genere: vuole solo essere se stesso. E spero che i ragazzi capiscano che conoscersi, accettarsi, è il primo passo verso una forma di felicità”.

Come immagina la donna che vorrebbe diventare?

“Forte, ma capace di accettare le proprie fragilità. Una donna che sa convivere con il dolore, che crede in se stessa. Ci sto lavorando”.

Cosa la ferisce di più?

“L’ingiustizia. Sia quella grande, globale, sia quella più intima, quotidiana. Mi fa soffrire profondamente: ecco perché mi impegno in tante battaglie sociali e civili in prima persona”.

Ha paura del giudizio degli altri?

“No, finché so chi sono. Certo, il giudizio arriva e va ascoltato quando è costruttivo. Ma non deve definirti. Le etichette mi scivolano addosso”.

Si è detta “brava” dopo aver rivisto il film?

“Ancora no. L’ho visto a casa, ma penso che al Giffoni, con il pubblico in sala, sarà diverso. Forse lì, davvero, capirò che è tutto vero. E allora sì, magari mi darò quella pacca sulla spalla che ancora manca”.

Per lei sono giorni pieni di interviste. C’è qualcosa che nessuno le ha mai chiesto?

“Il rapporto con la troupe del film. Quelle sette giornate sul set sono state arricchite da tutte le persone dietro le quinte: fonici, costumiste, truccatrici. Sono state fondamentali. È stata un’esperienza umana, prima ancora che professionale. E mi dispiace che non si parli spesso del loro apporto, umano e professionale”.

Blu ama La Sirenetta. Se la sua vita fosse una favola, quale sarebbe?

“Non amo molto le favole, ma da piccola amavo Mulan. E soprattutto Pippi Calzelunghe. Ce l’ho tatuata dietro la spalla. Pippi sono io. Forte, libera, indipendente. E questo, almeno, è un pezzo della mia identità che conosco”.

US Lorella Di Carlo

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