Aurora Maniscalco, ipotesi di istigazione al suicidio per la hostess morta a Vienna: cosa significa
Rientrata in Italia la salma della giovane hostess. Potrebbe essere stata spinta a togliersi la vita: cosa significa "istigazione al suicidio", la spiegazione della criminologa
A meno di un mese da quello che inizialmente era apparso come un incidente, c’è stata la svolta nelle indagini sulla morte di Aurora Maniscalco. La hostess palermitana di 24 anni, morta il 21 giugno dopo una caduta dal terzo piano dell’appartamento in cui viveva a Vienna insieme al fidanzato. La Procura austriaca aveva chiuso il caso ipotizzando che la giovane donna si fosse tolta la vita volontariamente. Diversa l’opinione dei colleghi di Palermo, tanto che si parla di istigazione al suicidio. La psicologa e criminologa Roberta Catania, ai microfoni di Virgilio Notizie, spiega di che reato si tratta.
- Ipotesi di istigazione al suicidio
- Un gesto “indotto”?
- Chi era Aurora Maniscalco
- L'intervista a Roberta Catania
Ipotesi di istigazione al suicidio
La Procura del capoluogo siciliano ha iscritto nel registro degli indagati il fidanzato di Aurora Maniscalco, con l’ipotesi di istigazione al suicidio.
Per questo è stata disposta l’autopsia sul corpo della giovane, analizzata dagli esperti dell’Istituto di Medicina legale del Policlinico di Palermo.
Un gesto “indotto”?
Il sospetto è che in qualche modo il fidanzato della hostess, Elio Bargione, 27 anni palermitano, possa averla indotta al tragico gesto.
Secondo alcuni parenti della vittima, infatti, Aurora non viveva un periodo sereno nella relazione, definita tormentata; “Nei giorni precedenti alla morte c’era stata una lite tra i due. Nessuno di noi crede che si sia trattato di un suicidio”, avevano dichiarato, sentiti dagli inquirenti. “Era stata per un periodo a Praga – hanno riferito ancora i familiari – da un amico. Poi era tornata a Vienna, dove abitava con il fidanzato, ma con lui c’erano stati dei problemi”.
Chi era Aurora Maniscalco
Diversa la versione di Bargione. Il compagno, che al momento dell’accaduto si trovava in casa con Aurora, è stato ascoltato più volte dagli investigatori di Vienna, ma ha negato problemi con la fidanzata.
La vittima, dopo una precedente esperienza lavorativa in Croazia, era assistente di volo per la compagnia austriaca Lauda Air da tre anni.
Il prossimo 15 luglio, nel giorno in cui a Palermo si festeggia Santa Rosalia, avrebbe compiuto 25 anni. La domanda ora è: potrebbe essere stata indotta a gettarsi dal balcone? E cosa si intende per istigazione al suicidio?
L’intervista a Roberta Catania
Quello che sembrava un apparente suicidio potrebbe essere una istigazione al suicidio. In termini generali, che differenza c’è?
“Sia da un punto di vista psicologico che giudiziario, il suicidio è un atto volontario. Apparentemente si tratta di una scelta personale che deriva da una sofferenza psichica grave a punto da non vedere altra soluzione che farla finita. Nell’istigazione al suicidio, invece, c’è una responsabilità esterna da parte di terzi che o rafforzano un proposito con una serie di attività anche di manipolazione psicologica, subdole, che convincono la vittima a portare a termine quella attività lesiva; oppure che instillano l’idea del suicidio anche laddove questa non era già presente”.
A livello psicologico e criminologico, chi viene indotto a togliersi la vita, ha consapevolezza che si tratta di un gesto a cui in qualche modo è portato?
“Generalmente il suicidio è un gesto solitario, portato a termine da soli, anche se a volte si trovano biglietti, scritti in precedenza e che confermano una volontà. Nell’istigazione al suicidio non necessariamente ci si rende conto di essere indotti a farlo. Diversamente dall’omicidio, non c’è un gesto sul corpo della vittima, ma sicuramente una manipolazione psicologica che produce una scelta e che è tale da rendere l’altro inconsapevole. È come se la vittima si trovasse in una bolla emotiva in cui non scinde più la propria volontà dalla convinzione frutto di un’attività esterna. È chiaro che ciò avviene facendo leva su una fragilità o una debolezza di colui che poi arriva al suicidio”.
Si tratta di casi frequenti, nella cronaca?
“I casi di istigazione sono più diffusi di quanto non si creda, ma il problema è che spesso non è possibile identificare l’attività manipolatoria, perché molto di frequente si tratta di azioni verbali: lunghi discorsi, frasi manipolatorie, gesti che producono ferite psicologiche e non fisiche, ecc. è complicato trovare un ‘nesso causale’, come si dice in gergo giuridico, a tutto ciò che si sta dietro”.
Esiste una sorta di “profilo” delle vittime di una istigazione al suicidio: giovani o meno giovani, donne o anche uomini, con che tipo di carattere?
“In genere non si parla di identikit, ma certamente esistono tratti di personalità più ricorrenti nelle vittime dell’istigazione al suicidio, che predispongono maggiormente ad essere ‘agganciati’ da soggetti manipolatori: bassissima autostima, fragilità identitarie (per esempio, negli adolescenti, che già fisiologicamente vivono una fase in cui stanno creando una propria identità, che dunque ancora manca); oppure soggetti con dipendenze, anche affettive o relazionali”.
L’istigazione al suicidio è una forma manipolatoria tipica delle dinamiche di coppia “disfunzionali”, quindi dove ci siano “problemi”?
“Non è detto. Pensiamo, ad esempio, ad Andrea Prospero (studente universitario trovato senza vita nel suo appartamento, a Perugia lo scorso gennaio, NdR): la persona che l’avrebbe indotto al suicidio era stata conosciuta su Telegram: in tutti i casi deve comunque essersi un legame. Nei rapporti di coppia il legame è in genere molto profondo, perché si provano sentimenti e, soprattutto, l’altro ha un ruolo non marginale rispetto al giudizio che abbiamo di noi stessi. Si può creare una dipendenza sotto forma di ‘gaslighting’: di fatto si toglie all’altro una serie di valori che definiscono la sua identità e autostima, con frasi come ‘Nessuno ti amerà mai come faccio io’, oppure “Se ti uccidi non se ne accorgerà nessuno’, ecc.”
Ci sono segnali, campanelli d’allarme ai quali prestare attenzione?
“Quando si arriva a gesti estremi, purtroppo spesso i familiari o conoscenti si rimproverano di non essersi accorti dei campanelli d’allarme, ma non è sempre facile. Alcuni segnali possono essere un cambiamento improvviso di umore o comportamento, magari se prima si era espansivi, gioiosi o vitali, e poi si nota un abbassamento repentino di umore, con tristezze o chiusure. Un altro indizio potrebbe essere la presenza di un pensiero svalutante su di sé: per esempio, frasi come ‘Non valgo nulla’ o ‘Sarebbe meglio se non ci fossi’, ecc. Oppure ancora l’idea di autocolpevolizzarsi, anche quando non si hanno responsabilità, come quando l’altro prova gelosia e ci si attribuisce la responsabilità per presunti comportamenti scorretti. Infine, se si nota un ritiro sociale, come dal lavoro, dallo sport o dalla scuola, ecco forse potrebbero essere spia di qualcosa che non va”.