Thiago Elar morto a Treviglio, le parole dello psichiatra sui danni dell'anoressia: "È come un tumore"
L'anoressia come un tumore: va preso in tempo per guarire. Dall'esperto i consigli: serve un forte supporto a casa e a scuola per i più giovani
Il caso di Thiago Elar, morto a Treviglio, ha riacceso l’attenzione sui disturbi alimentari nei giovani. Leonardo Mendolicchio, psichiatra e psicoanalista, parla dell’anoressia come di un tumore: va preso in tempo per poterlo curare.
I disturbi alimentari in Italia
Quella di Thiago Elar è una storia drammatica di anoressia, ma non l’unica. La sua ha fatto il giro dei giornali e del web per via del numero di persone che lo seguivano sui social, ma in Italia non è un caso isolato. Purtroppo.
Sono circa 3.000 le persone che muoiono ogni anno per i disturbi alimentari. Un numero che, durante la pandemia, ha toccato la triste cifra di 5.000 vittime.
I disturbi alimentari, gli incidenti stradali e la violenza sono le tre principali cause di morte tra i giovani e i giovanissimi. Al contrario degli altri due casi, la morte per disturbi alimentari o mentali arriva dopo diverso tempo, tra invisibilizzazione e banalizzazione dei sintomi. Spesso quando si arriva ai centri specializzati è troppo tardi.
Cosa succede al corpo e alla mente
Lo psichiatra Leonardo Mendolicchio racconta l’anoressia come un tumore. Allo stesso modo, infatti, l’anoressia è più grave se prolungata nel tempo.
“Il corpo e la mente subiscono danni irreversibili. Può essere difficile da comprendere, ma gli effetti sul cervello di una malnutrizione severa sono devastanti”, ha raccontato.
Allo stesso modo, quindi, l’anoressia deve essere presa in tempo, al pari di un tumore. Se seguita fin da subito in modo corretto si può riuscire a guarire. Infatti, tra tante storie tristi, molte presentano un lieto fine. Ma, prosegue il medico, l’anoressia va affrontata il prima possibile, perché è cruciale evitare che si aggravi.
Come si cura l’anoressia?
Non esistono farmaci specifici per i disturbi alimentari: è tutta una questione di disposizione. Si agisce come per le dipendenze, spesso con l’utilizzo di psicofarmaci e altri medicinali, ma questi non agiscono in modo diretto e risolutivo.
In altre parole, i farmaci non bastano e spesso va affrontato il problema da un altro punto di vista. Oltre alla terapia farmacologica, infatti, servono psicoterapia e rieducazione alimentare. Bisogna avere alle spalle una famiglia supportante e, ancora meglio, anche una scuola capace di offrire sostegno nei momenti più difficili.
È proprio in questo modo che i giovani accettano di essere curati, rifiutando la malattia in cui spesso finiscono per identificarsi. Come spiega l’esperto, infatti, la nostra società, fatta di influencer e di pubblicità, tende a creare un’enorme ansia sul corpo “come se lo stare nel mondo si giocasse tutto attraverso la propria immagine”. Ed è così che nascono i fenomeni di hikikomori, i disturbi alimentari e l’autolesionismo.