Pamela Genini e la denuncia nel 2024 in ospedale dopo l'aggressione di Soncin, ma non scattò il codice rosso
Pamela Genini aveva raccontato una violenza e detto di temere di essere uccisa, ma il codice rosso non fu attivato. Ora si indaga sul perché
Pamela Genini aveva già dichiarato di temere di essere uccisa da Gianluca Soncin, ma non si attivarono procedure di tutela. La donna, vittima di femminicidio, aveva messo la spunta sulla tipologia di aggressione che aveva subito nel 2024, manifestando la paura di venire uccisa. Il questionario, compilato all’ospedale di Seriate dopo un’aggressione da parte di Soncin, non fece comunque scattare il codice rosso.
- La denuncia del 2024 di Genini
- Cosa dichiara nel questionario
- Il racconto e il percorso in ospedale
- Il codice rosso non si attiva
La denuncia del 2024 di Genini
Il 4 settembre 2024 Pamela Genini si era recata all’ospedale di Seriate per via di un dito rotto. Questo dovuto a un’aggressione da parte di Gianluca Soncin. Rimase cinque ore in ospedale per il dolore alla mano e al triage venne segnalata come una “priorità: 2 urgenza”.
Il motivo dell’accesso in ospedale venne dichiarato come: abuso o maltrattamento, violenza di genere/fragilità. Le venne così sottoposto un questionario, oltre al normale svolgimento della visita medica e alla fasciatura del dito contuso.
Il verbale del pronto soccorso comprende anche il questionario dove si esplicita il fatto che Pamela temesse di essere uccisa. In casi come questi scatta il codice rosso, perché il verbale viene girato alle forze dell’ordine, ma in questo caso non succede nulla.
Cosa dichiara nel questionario
Le risposte che Pamela inserisce nel questionario sono evidenti di una violenza strutturale all’interno della coppia. Alla domanda “Crede che lui sia capace di ammazzarla?” Pamela risponde “sì”.
Ancora, alla domanda “Ha mai usato un’arma o l’ha mai minacciata con un’arma?” Pamela risponde “sì”. Alla domanda “Lui è fortemente e costantemente geloso di lei?” Pamela risponde “sì”.
Alla domanda “La violenza fisica è aumentata di frequenza e gravità negli ultimi sei mesi?” Pamela risponde “sì”. C’è una sola domanda a cui Pamela Genini, ventinovenne uccisa martedì scorso a Milano, risponde “no”, ed è quella relativa al fatto di essere stata percossa in gravidanza.
Il racconto e il percorso in ospedale
Ai sanitari Pamela Genini racconta quanto stava passando. Dice di essere stata aggredita dal suo compagno, con il quale non convive e che dichiara essere un paziente psichiatrico in terapia. Racconta di essere stata gettata a terra, colpita alla testa con pugni, trascinata per i capelli per diversi metri e di aver subito il lancio di oggetti. Proprio quest’azione le avrebbe rotto un dito della mano destra.
Il suo corpo, al momento dell’arrivo in ospedale, era coperto di graffi e aveva una ciocca di capelli staccata. Pamela nega di aver subito violenza sessuale in quell’occasione, ma dichiara che in passato ci sono state occasioni.
Racconta del 3 settembre 2024, quando la lite portò all’arrivo dei carabinieri di Cervia, a Ravenna. Una volta intervenuti, Genini non avrebbe effettuato denuncia. In questo modo le forze dell’ordine non avrebbero attivato nessun tipo di percorso.
Il codice rosso non si attiva
In casi come questi scatta il codice rosso. Dal verbale si evince che vengono eseguite le foto, previo consenso, ed effettuato un prelievo ematico. Inoltre vengono allertate, visto l’esito, le forze dell’ordine con protocollo dopo il consenso della paziente. Alla visita traumatologica sono presenti i carabinieri di Seriate. La prognosi è di 20 giorni. Sempre dal verbale si evince che, dopo il colloquio con le forze dell’ordine, non vi è indicazione per l’attivazione del codice rosso.
Cosa è successo? I carabinieri di Seriate prendono il referto e lo inviano a Cervia, dove il 3 settembre si era svolta la lite. Questi trasmettono a loro volta l’annotazione dell’intervento, dove la ventinovenne rifiuta di denunciare Soncin. Da qui i carabinieri di Seriate trascrivono “presunta violenza di genere”.
Non è stato trasmesso nulla alle procure di Bergamo e Ravenna o all’interno dei software per monitorare gli interventi “spia”, anche in assenza di denuncia. Non viene così approfondito il caso e non viene valutata l’attivazione del codice rosso. Nessuna misura preventiva è stata quindi presa. Gli inquirenti di Milano stanno acquisendo referti e annotazioni dei carabinieri per capire perché i servizi di tutela non si sono attivati, cosa non ha funzionato e dove sono le responsabilità dell’assenza di tutela che, a un anno dai segnali “spia”, ha portato all’ennesimo femminicidio.