Stefano Mordini racconta “Race for Glory: Audi vs. Lancia”

Il regista Stefano Mordini racconta in esclusiva a Virgilio Motori il suo nuovo film su una delle sfide più mitologiche della storia dell'automobilismo.

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Redazione

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Nel mondo del rally, il 1983 è l’anno in cui si è fatta la storia. L’anno di Davide contro Golia, quello in cui lo sfavorito team Lancia, guidato dal carismatico Cesare Fiorio affrontò il potentissimo team Audi in una delle più grandi sfide della storia dell’automobilismo.

Dal racconto di questa gara mitologica, è tratto il film “Race for Glory”, che vede Riccardo Scamarcio nei panni di Cesare Fiorio e l’attore tedesco Volker Bruch nei panni invece del pilota Walter Röhrl, che sulla mitica Lancia Rally 037 conquistò il Campionato del Mondo, l’ultima vittoria nella storia di una macchina a trazione posteriore.

Il regista che ha raccontato questa “race for glory” è Stefano Mordini, noto anche all’estero per aver calcato i Festival Internazionali di Venezia, Cannes e Berlino, con film quali “Provincia meccanica”, “Acciaio”, “Pericle il nero”, “Il testimone invisibile” e il più recente “La scuola cattolica”. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente, per farci raccontare tutto su questa nuova sfida cinematografica, e automobilistica.

Com’è nata l’idea di fare un film su una delle stagioni di rally più memorabili della storia?
L’idea è stata di Riccardo Scamarcio, anche se a mia volta – da appassionato di ciclismo – avrei voluto fare da tempo un film che raccontasse una gara. Non sembra, eppure sono molte le vicinanze tra il rally e il ciclismo: per esempio, non si corre su un circuito ma su dei tracciati, per questo in entrambi i casi diventa un grande circo che si muove attraverso i territori. Mi è piaciuta da subito l’idea di Riccardo, che tra l’altro è un grande appassionato ed esperto di auto, e abbiamo deciso di portata avanti.

Riccardo Scamarcio interpreta Cesare Fiorio, una leggenda del rally: in che modo è riuscito a calarsi nel ruolo?
Riccardo è un grande attore e riesce a far vibrare anche le piccole cose, a cominciare dagli sguardi. Ha la grande sensibilità di raccogliere il lato emotivo dei personaggi che interpreta, soprattutto in un film come questo nel quale ciò che non viene detto è quasi più importante di ciò che viene detto.

In fondo, la quotidianità del pilota è fatta proprio di sguardi e di percezioni.
Esatto, e Riccardo è riuscito a trasformarli nella necessità che Fiorio aveva in quella sfida. Anche delineare il rapporto con Röhrl è stato molto interessante: buona parte di questo film si esplicita infatti proprio sul racconto del desiderio di libertà quasi naif che questo pilota ha, rispetto alla volontà di Fiorio nel portarlo a guidare una macchina a rischio. Su questa doppia sfida, Riccardo ha fatto un lavoro incredibile.

Avete sentito Fiorio durante le riprese?
Molto di più: Fiorio ha preso parte al film, svolgendo addirittura un cameo nella scena di Montecarlo. E nella fase preliminare – in cui abbiamo fatto ricerca – lo abbiamo incontrato, ci ha raccontato i suoi ricordi e abbiamo articolato il suo racconto in funzione dei fatti storici e dell’umore che ci ha raccontato di quei tempi. Nel film prendiamo spunto da quell’anno storico, per arrivare poi ad una ricostruzione che ci concedesse la libertà del racconto.

Le auto usate nel film invece da dove arrivano?
C’è tutto un mondo di appassionati e di collezionisti che abbiamo sondato, facendo un lavoro incredibile. Per esempio, l’auto che vedi come test, è proprio la numero zero: questo è stato possibile anche grazie alla collaborazione diretta di Lancia. Invece l’auto di Röhrl è una Lancia 037 che abbiamo acquisito per il film insieme ai fratelli Baldi, due meccanici che seguivano il rally in quel periodo e ai quali abbiamo affidato il controllo su tutto il parco macchine. Abbiamo fatto una ricerca sulle auto originali, ripercorrendo soprattutto la dimensione sonora: le auto originali avevano un suono specifico con il quale ci interessava lavorare per restituire il livello emotivo di quella gara.

Potremmo dire che il rombo del motore è uno dei grandi protagonisti del film, soprattutto quello di Lancia, che ha rappresentato la massima espressione del genio e del talento italiano. C’è un po’ di nostalgia nel ricordare quei favolosi tempi?
Oggi nello sport, dal calcio fino all’automobilismo, c’è sempre una grande nostalgia, legata anche ai limiti imposti dal budget: allora chi investiva di più, ci credeva di più. Era un momento in cui le sfide ingegneristiche e sportive producevano una grande innovazione. Pensa, ad esempio, quando l’Audi tirò fuori nel 1981 la prima auto a 4 ruote motrici: tutti dicevano che era pesante e che non avrebbe retto il confronto, poco dopo diventò l’auto del futuro. Però concedimi questa riflessione: non sono soltanto i soldi che determinano la forza. C’è sempre dietro un uomo, una mente con delle intuizioni e delle idee, che negli anni in cui sono cresciuto erano più evidenti. Oggi sono semplicemente più nascoste, ma c’è sempre qualcosa che fa la differenza e questo qualcosa passa attraverso l’uomo.

È stato difficile lavorare con auto d’epoca, analogiche rispetto ai tempi e alle articolazioni del cinema digitale?
In realtà è stata un’opportunità, proprio perché quelle macchine lì erano fatte per partire e arrivare, non per fermarsi e ripartire come succede nel cinema. Questo ci ha costretto a lavorare in modo diverso, cogliendo l’occasione di ogni momento. All’interno del racconto cinematografico, che ha una sua struttura, sei costretto a vivere l’atto, che non è ripetibile. Molte volte il passaggio delle auto, ha reso noi stessi spettatori, proprio come quelli che andavano a vedere le gare di rally in strada e nelle curve. Accettare pioggia, sole e vento era la nostra unica possibilità.

Invece, è stato necessario chiamare dei piloti professionisti per girare alcune scene?
Sì, in molte scene sono presenti dei rallysti veri. Per esempio, il compagno di Röhrl è un famoso rallysta, così come la compagna di Michèle Mouton è Rebecca Busi, che ha partecipato anche alla Parigi-Dakar. Abbiamo affiancato dei professionisti agli attori per insegnargli come lavorare nella maniera più realistica possibile. Volker Bruch, che recita la parte di Röhrl, ha fatto un periodo di apprendistato sia in pista che fuori, insieme ad alcuni piloti. A tal punto che, quando volevamo inserire degli stunt in alcune scene, ha insistito per esserci lui: ha imparato in fretta, è stato davvero molto bravo.

Oltre a Lancia, che abbiamo già citato e che ha contribuito con le auto, anche Sparco vi ha aiutato a ricreare le livree e le tute dell’epoca?
Sono stati dei grandi partner, hanno sposato il progetto facendo una ricostruzione fedele delle tute di quegli anni. Non solo: ci hanno seguito a tal punto che durante una delle scene che abbiamo girato a Torino, ho incontrato anche il proprietario dell’azienda. E ti assicuro che non succede così spesso.