Ponte sullo Stretto: via gli espropri, 400 edifici da abbattere

Le polemiche non si spengono circa il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, con oltre 400 edifici destinati a essere abbattuti in Sicilia e Calabria

Foto di Manuel Magarini

Manuel Magarini

Giornalista automotive

Classe 90, ha una laurea in Economia Aziendale, ma un unico amore: la scrittura. Da oltre dieci anni si occupa di motori, in ogni loro sfaccettatura.

In attesa del via libera definitivo al progetto, la società Stretto di Messina accelera il passo per la costruzione del ponte tra Sicilia e Calabria. A tal proposito, ha pubblicato un avviso per l’esproprio delle aree interessate, pari a un totale di 3,7 milioni di metri quadri, riguardante circa 300 case in Sicilia e 150 in Calabria,

Oltre all’opera in sé, si considerano pure quelle accessorie come raccordi stradali e ferroviari. La società punta a realizzare degli accordi bonari con i proprietari degli immobili da demolire, offrendo loro assistenza. Tuttavia, non bisogna cantare vittoria troppo presto, perché la “Rete No Ponte” si oppone fermamente al progetto.

I cittadini annunciano di adire le vie legali, nonché di organizzare dei movimenti di proteste, tra cui il sit-in davanti al Comune di Messina. Mariolina De Francesco, una delle espropriate, dichiara: “Non me ne vado, nemmeno per idea. Se la mia casa la dovessi cedere per un ospedale oncologico per i bambini, lo farei. Ma non per una cosa inutile come questa”.

Cambio di idee

L’iniziativa non raccoglieva nemmeno il consenso di colui che, allo stato attuale, è il suo principale promotore, Matteo Salvini. Il leader leghista, vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha cambiato idea nel corso degli anni. Meno, molto meno, una rilevante parte degli italiani.

Uno dei principali motivi del dissenso riguarda l’impatto che il ponte avrebbe sullo Stretto di Messina, un patrimonio naturale da preservare. In un periodo dove la lotta in nome dell’ambiente è quanto mai avvertita, gli ecologisti esortano a mantenere una zona di grande biodiversità marina e terrestre.

La realizzazione del ponte sullo Stretto rischierebbe di danneggiare l’ecosistema in misura irrimediabile, alterando le correnti marine, la migrazione dei pesci e l’habitat di parecchie specie protette.

Dietro l’ostilità vi è anche un discorso prettamente economico. Il costo stimato dei lavori supera la soglia dei 10 miliardi di euro, una cifra da tanti ritenuta troppo gravosa sulle casse statali. Ciò soprattutto in un’epoca segnata dalla crisi mondiale. Che l’emergenza sanitaria da Coronavirus prima e i conflitti sia in Russia sia in Israele poi hanno inasprito. Far quadrare i conti è un compito difficile, e i costi reali potrebbero lievitare considerevolmente durante la messa in opera.

Un’impresa tentata da molti, ma riuscita a nessuno

Già diversi governi prima di quello guidato da Giorgia Meloni hanno cercato di raggiungere i medesimi risultati in precedenza, senza portare mai la nave in porto. I contraccolpi sul bilancio si erano fatti sentire, in misura decisiva, al punto da condurre puntualmente allo stop. Il progetto è stato approvato, ma mancano le ultime formalità.

Il timore è poi di assistere a speculazioni edilizie e alla cementificazione del territorio. Di rimando, la società Stretto di Messina risponde alle critiche affermando che il ponte ridurrebbe i tempi di percorrenza tra Sicilia e Calabria, favorendo lo sviluppo economico del Meridione.

L’utilizzo delle migliori tecnologie oggi disponibili garantirebbe poi il raggiungimento dei massimi standard di sicurezza e la fase di costruzione/gestione consentirebbe di creare migliaia di posti di lavoro. La decisione finale competerà all’esecutivo. La partita rimane aperta e il dibattito è acceso.