La sua Ferrari ha un valore inestimabile, ma non può venderla a nessuno

Un notaio di Brescia ha acquistato una Ferrari oggi dal valore inestimabile. Eppure, non gli sarà possibile venderla in quanto bene di interesse nazionale

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Manuel Magarini

Giornalista automotive

Classe 90, ha una laurea in Economia Aziendale, ma un unico amore: la scrittura. Da oltre dieci anni si occupa di motori, in ogni loro sfaccettatura.

Conservare in garage una Ferrari, oltretutto storica, significa avere tra le mani un tesoro prezioso, potenzialmente rivendibile a cifre astronomiche. Per questo un notaio bresciano aveva acquistato, durante un’asta nel 2013, una rarissima 250 GTE 2+2 Series II Polizia, con l’intento di cederla per un guadagno considerevole.

Un pezzo unico, utilizzato negli anni Sessanta dal maresciallo Spatafora

Il capolavoro di design e meccanica, utilizzato negli anni Sessanta dal maresciallo Armando Spatafora nella caccia ai criminali di Roma, costituisce un pezzo unico e di grande valore, stimato in oltre mezzo miliardo di euro. Così nel 2020, il ministero della Cultura, una volta appresa la notizia della sua messa in vendita, ha bloccato tutto, poiché “bene di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale”. In parole povere, il dicastero ha fermato l’operazione considerandola parte del patrimonio nazionale.

Scottato dal verdetto, il notaio ha allora impugnato il provvedimento, tramite ricorso al TAR, perché la Ferrari in questione non rappresenterebbe una one-off (come si suol dire oggi), giacché simile ad altri mille esemplari realizzati in serie. Le argomentazioni addotte vengono ora respinte dall’organo giuridico, pronto a confermare la valenza storica e culturale del veicolo.

Si tratta, infatti, del solo esemplare di Ferrari 250 GTE 2+2 costruito per la Polizia ancora esistente, con caratteristiche specifiche quali la livrea nera, le scritte “Squadra Mobile” e la dotazione speciale. Il pronunciamento è giustificato con “l’unicità del modello, la storia del suo utilizzo da parte della Polizia negli anni Sessanta, nonché – recita la nota – la storia della sua ideazione e costruzione, attestante anche la collaborazione intervenuta tra le forze dell’ordine e la Ferrari (casa automobilistica che rappresenta un’eccellenza italiana nel mondo)”. Di conseguenza, “non si può ritenere insussistente l’interesse storico e culturale del bene”.

Valutate entrambe le argomentazioni, il bolide di Maranello rimane patrimonio inalienabile del nostro Paese. Il proprietario non avrà modo di cederla liberamente, ma potrà comunque beneficiarne a determinate condizioni, tra cui l’esposizione in musei o eventi culturali.

La nascita e lo sviluppo del mito

Il mito della Ferrari 250 GTE delle Forze dell’Ordine sembra sia nato da una battuta di un brigadiere: “Ci vorrebbe una Ferrari, Eccellenza”, commentò provocatoriamente a chi gli imputò scarsi successi nelle catture. Correvano gli anni Sessanta e i malviventi infestavano le strade della Capitale, capaci di farla franca grazie alle sportive in possesso.

Il Capo della Polizia dell’epoca pensò, quindi, di contattare Enzo Ferrari in persona. Nacque così la collaborazione dietro alla nascita di uno dei bolidi maggiormente apprezzati nel corso della storia, la 250 GTE “Serie Polizia”. Il bolide, dotato di un dodici cilindri da 300 CV e di una velocità superiore ai 250 km/h, costituì un netto salto di qualità rispetto alle auto appartenute in precedenza alle autorità.

Le gesta eroiche compiute a bordo ne alimentarono la fama, celebrata pure da libri e film. Nel 1977, uscì al cinema Squadra antimafia a Roma, ripercorrente uno degli inseguimenti più rocamboleschi, conclusosi con la natura dei criminali sulla scalinata di Trinità dei Monti. Oltre ad andare veloce, la Pantera Nera costituì un simbolo di speranza e di giustizia nell’eterna lotta contro i fuorilegge.