Selvaggia Lucarelli e le "sorelle di chat", nel gruppo "Fascistella" insulti a Murgia, Mattarella e Segre

Selvaggia Lucarelli ha ricostruito le conversazioni delle “sorelle di chat” nel gruppo “Fascistella”, con insulti a Murgia, Mattarella e Segre

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Selvaggia Lucarelli ha pubblicato uno scoop sulle “sorelle di chat”, un gruppo Telegram denominato “Fascistella” con messaggi offensivi verso personalità pubbliche. Tra di loro le attiviste Carlotta Vagnoli, Valeria Fonte e Benedetta Sabene, indagate per stalking dalla Procura di Monza, che ipotizza una campagna denigratoria online durata quasi due anni.

L’inchiesta di Selvaggia Lucarelli

Selvaggia Lucarelli ha pubblicato sul Fatto Quotidiano un’inchiesta sulle cosiddette “sorelle di chat”, un gruppo di attiviste femministe che, secondo la giornalista, avrebbero scambiato per mesi messaggi offensivi e denigratori nei confronti di figure pubbliche e del mondo culturale.

Il gruppo, denominato “Fascistella”, riuniva – secondo quanto riportato da Lucarelli – decine di partecipanti, tra cui alcune note influencer del femminismo digitale. Nei messaggi, scrive la giornalista, comparivano anche riferimenti sprezzanti e linguaggio volgare rivolto a personalità come Michela Murgia (“in gran parte una persona di m***a”), Sergio Mattarella, Liliana Segre e altre figure del dibattito pubblico.

Selvaggia Lucarelli sorelle di chatANSA
La giornalista Selvaggia Lucarelli ha pubblicato un’inchiesta sulle cosiddette “sorelle di chat”

Lucarelli ha definito la chat “un campionario di violenza verbale e rivalità interne al femminismo”, spiegando che parte di quei contenuti sarebbero poi confluiti nell’indagine giudiziaria aperta a Monza.

Le “sorelle di chat” e il gruppo “Fascistella”

Nel gruppo, secondo quanto pubblicato dal quotidiano, le partecipanti commentavano fatti di cronaca, articoli e interventi social con toni ironici o aggressivi. Gli screenshot riportati da Lucarelli mostrano una sequenza di messaggi in cui compaiono giudizi pesanti su esponenti femministe, scrittori e politici.

Oltre a Michela Murgia, più volte tirata in ballo insieme alla sua famiglia, compaiono messaggi anche su Chiara Valerio (raccontando particolari della sua vita sessuale), Cecilia Sala (con il sequestro “ha dato una svolta definitiva alla sua carriera”) e la stessa Lucarelli, particolarmente bersagliata nelle chat.

In particolare, sulla giornalista autrice dell’articolo viene detto “prima o poi andrà fatta fuori”, fino a proporre di assumere un hacker o “qualcuno che le tolga il profilo”, aggiungendo che la Lucarelli “va battuta su un altro terreno, quello legale… o del ricatto”.

Le repliche di Carlotta Vagnoli e Flavia Carlini

Dopo la pubblicazione, Carlotta Vagnoli ha risposto con una serie di stories su Instagram, definendo “inutile” l’articolo di Lucarelli: “Il reato di antipatia non mi risulta, dal codice penale. Bizzarro invece – prosegue la Vagnoli – che una persona estranea al processo abbia avuto accesso a materiali secretati”.

“Ovviamente ANCHE questa mediocre pagine di giornalismo a tutti i costi finirà davanti a un giudice”, ha scritto, aggiungendo che la vicenda dimostra che la Lucarelli è in una posizione “di potere, soprattutto economico”, che le permette di poter ugualmente pubblicare un articolo del genere.

Flavia Carlini, citata anch’essa da Lucarelli, ha pubblicato a sua volta una dichiarazione in cui ha parlato di “una chat PRIVATA” con quattro amici stretti che si sfogano, dichiarando di non avere intenzione di tornare sulla vicenda.

L’indagine della Procura di Monza

Secondo Adnkronos, la Procura di Monza ha chiuso le indagini a carico di Carlotta Vagnoli, Valeria Fonte e Benedetta Sabene per presunti atti persecutori. L’accusa ipotizza una “campagna denigratoria e offensiva” nei confronti di due persone, proseguita per circa 23 mesi.

Nel capo di imputazione si legge che le indagate avrebbero “ingenerato un grave stato d’ansia e alterato le abitudini di vita delle vittime mediante l’uso di chat pubbliche su Instagram”. Le contestazioni riguardano “condotte reiterate” e aggravate dall’uso di strumenti informatici.

Le tre donne hanno ora venti giorni di tempo per chiedere di essere interrogate o depositare memorie difensive prima di un’eventuale richiesta di rinvio a giudizio. Tutte respingono le accuse.

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