Il Nürburgring Nordschleife non perdona. È la pista che separa la leggenda dall’illusione, il metro di giudizio con cui ogni supercar deve fare i conti. Ed è qui, tra i 20,8 chilometri di curve cieche e rettilinei senza respiro, che la Yangwang U9 Xtreme ha scritto un nuovo capitolo nella storia delle prestazioni: 6 minuti e 59,157 secondi. Un tempo che infrange la barriera psicologica dei sette minuti, e con essa la convinzione che un’elettrica non potesse ancora competere con le regine a benzina dell’Inferno Verde.
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La prima volta di una cinese
Il risultato non è soltanto tecnico: è simbolico. Per la prima volta, una vettura cinese — e a batteria — supera i riferimenti europei e americani, aprendo una nuova era per la mobilità ad alte prestazioni. La Yangwang U9 Xtreme, marchio di lusso del gruppo BYD, non è un prototipo da record, ma una hypercar di produzione, destinata a una tiratura limitata di circa trenta esemplari. Il prezzo? Oltre 1,2 milioni di euro. Ma il valore, in questo caso, è nel messaggio.
A spingerla a quel crono mostruoso è la piattaforma e4, l’architettura più sofisticata mai realizzata da BYD. Quattro motori elettrici a magneti permanenti, uno per ruota, controllati da un sistema di torque vectoring capace di elaborare 50.000 parametri al secondo. La potenza complessiva sfiora i 2.900 kW, quasi 3.950 cavalli, mentre la trazione integrale è in grado di modulare la coppia istantaneamente su ogni singolo pneumatico. In pratica, un’intelligenza artificiale che anticipa le reazioni dell’auto prima ancora che il pilota le percepisca.
Un’architettura sofisticata
L’infrastruttura elettrica da 1.200 volt rappresenta un altro salto tecnologico. Laddove la maggior parte delle supercar elettriche si ferma a 800 V, la U9 Xtreme spinge oltre, ottenendo un’efficienza superiore e una risposta immediata della potenza. È un sistema pensato per sostenere accelerazioni continue e carichi termici estremi, come quelli imposti dal Nürburgring.
La batteria, basata sulla tecnologia Blade Battery brevettata da BYD, utilizza celle raffreddate a liquido e un doppio circuito termico per mantenere le temperature sotto controllo anche dopo giri completi al massimo regime. La capacità stimata è di circa 100 kWh, ma il dato più impressionante è la sua resistenza alle correnti di picco: fino a 800 ampere. In più, la tensione a 1.200 V consente una ricarica ultrarapida da 500 kW, un valore che nessuna vettura di serie aveva ancora raggiunto.
Equilibrio eccellente
Ma l’equilibrio di un’auto da record non nasce solo dalla potenza. Il telaio in fibra di carbonio e alluminio, unito al sistema di sospensioni DiSus-X a controllo attivo, permette alla vettura di restare piatta anche nelle frenate più violente o nei cambi di direzione improvvisi. Il software interviene in millisecondi, correggendo beccheggio e rollio con una precisione che finora si era vista solo nei prototipi da endurance.
L’aerodinamica, poi, è un capolavoro di ingegneria: alettone posteriore mobile, flap anteriori adattivi e canali Venturi nel sottoscocca generano oltre 600 kg di carico verticale a 250 km/h. A quella velocità, la U9 Xtreme non vola: si incolla all’asfalto come un’auto da GT3. Il tutto è completato da pneumatici sviluppati su misura da Giti Tire e da un impianto frenante carbonio-ceramico con pinze in titanio, degno di una vettura di Formula 1.
Ha messo in fila tutte quante
Sul tracciato tedesco, la U9 Xtreme ha messo in fila nomi pesanti: la Xiaomi SU7 Ultra, che aveva fermato il cronometro a 7:04.3, e persino la Rimac Nevera, finora considerata il punto di riferimento assoluto tra le hypercar elettriche. Con il suo 6:59.157, la Yangwang non ha solo abbassato un tempo: ha riscritto le gerarchie.
C’è qualcosa di quasi poetico nel vedere un marchio nato in Cina, fino a pochi anni fa sinonimo di mobilità accessibile, battere le supercar europee sul terreno più sacro per gli ingegneri del Vecchio Continente. È la prova che l’innovazione non ha più confini, e che la rivoluzione elettrica non è una promessa: è già realtà. Il Nürburgring, da giudice spietato, ha emesso il suo verdetto. E questa volta, il suono della vittoria non è il ruggito di un V12, ma il sibilo di quattro motori elettrici che, in meno di sette minuti, hanno cambiato la storia.