Referendum abrogativo 8 e 9 giugno 2025 su lavoro e cittadinanza, i 5 quesiti completi e la spiegazione

Italiani chiamati alle urne domenica 8 e lunedì 9 giugno per il referendum su lavoro e cittadinanza: i cinque quesiti e le ragioni del sì e del no

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L’8 e il 9 giugno gli italiani saranno chiamati a esprimersi rispondendo ai cinque quesiti del referendum su lavoro e cittadinanza. Quattro quesiti sono stati promossi dalla Cgil e riguardano il Jobs Act, la riforma voluta dal governo Renzi, oltre ad altri punti della legislazione sul lavoro. Il quesito sulla cittadinanza italiana è stato promosso dal deputato di +Europa Riccardo Magi.

I quesiti sul lavoro

I quattro quesiti sul Jobs Act e sul lavoro in generale puntano, come detto, a riscrivere la legislazione, modificando le norme volute da Renzi (già ampiamente mutilate dalle sentenze della magistratura) e altri testi.

Il primo quesito riguarda i licenziamenti illegittimi, con la proposta di abrogare uno dei decreti del Jobs act che riguarda il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Se passasse la proposta, verrebbe ripristinata la possibilità di reintegrare il lavoratore nel suo posto di lavoro, in tutti i casi di licenziamento illegittimo.

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I promotori del referendum: Riccardo Magi (+Europa) e Maurizio Landini (Cgil)

Il testo completo:

Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, come modificato dal d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96, dalla sentenza della Corte costituzionale 26 settembre 2018, n. 194, dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145; dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, dal d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40; dalla sentenza della Corte costituzionale 24 giugno 2020, n. 150; dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147; dal d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79 (in G.U. 29/06/2022, n. 150); dalla sentenza della Corte costituzionale 23 gennaio 2024, n. 22; dalla sentenza della Corte costituzionale del 4 giugno 2024, n. 128, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183 nella sua interezza?”.

Il secondo quesito riguarda l’indennità per i licenziamenti nelle piccole imprese: si punta a eliminare il tetto massimo all’indennità per licenziamenti illegittimi nelle aziende con meno di 15 dipendenti, consentendo al giudice di determinare l’importo senza limiti predefiniti.

Il testo completo:

Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennita’ puo’ essere maggiorata fino a 10 mensilita’ per il prestatore di lavoro con anzianita’ superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilita’ per il prestatore di lavoro con anzianita’ superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa piu’ di quindici prestatori di lavoro?”

Il terzo quesito concerne i contratti a termine, con la proposta di abrogare alcune norme contenute nel Decreto Legislativo 15 giugno 2015 n. 81, che regolano la possibilità di instaurare contratti a tempo determinato e le condizioni per le proroghe e i rinnovi.

Il testo completo:

Volete voi che sia abrogato il d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, avente ad oggetto “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183” limitatamente alle seguenti parti: Articolo 19, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto puo’ avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b-bis)”; comma 1-bis, limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “, in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; Articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente?”

Il quarto quesito riguarda gli appalti, con la proposta di abrogare la norma che esclude la responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore, per gli infortuni sul lavoro derivanti da rischi specifici dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. In pratica, si va ad aumentare la responsabilità dell’imprenditore committente in caso di infortuni sul lavoro o malattie professionali.

Il testo completo:

Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, in tema di “Obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione”, di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonche’ dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attivita’ delle imprese appaltatrici o subappaltatrici?”.

Il quesito sulla cittadinanza italiana

Il quinto quesito riguarda la cittadinanza italiana per gli stranieri, con la proposta di dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia necessario affinché gli extracomunitari maggiorenni possano richiedere la cittadinanza italiana.

Il testo completo:

Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonche’ la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante “Nuove norme sulla cittadinanza?”

Perché sì e perché no

Per quanto riguarda i referendum sul lavoro, le ragioni del vengono giustificate con la necessità di aumentare i diritti dei lavoratori, compressi dal Jobs Act e da altre leggi ormai obsolete, soprattutto per quanto riguarda la precarietà dell’attuale mercato. Chi si oppone al cambiamento, e invece punta sul no, sostiene che azzerare il Jobs Act e ritoccare la disciplina sul lavoro si tradurrebbe in un onere eccessivo per le imprese, con pesanti ripercussioni sul sistema produttivo.

Per quanto riguarda la cittadinanza, le ragioni del riguardano la più agevole concessione di un diritto a persone giunte in Italia per rifarsi una vita. Chi sostiene le ragioni del no, obietta che oggi, secondo Eurostat, l’Italia dà ogni anno la propria cittadinanza a quasi 214.000 cittadini stranieri, il numero più alto tra tutti e 27 gli Stati membri. Nei 10 anni tra il 2013 e il 2022, gli stranieri che hanno ricevuto la cittadinanza italiana sono stati circa 1,46 milioni, il numero più alto tra tutti i Paesi Ue.

Le polemiche

Sono tre le polemiche che accompagnano i referendum dell’8 e 9 giugno. La prima riguarda il fatto che i partiti di governo hanno sostanzialmente invitato i cittadini all’astensione, mentre le opposizioni spingono per una massiccia partecipazione.

Riccardo Magi di +Europa, che ha proposto il referendum sulla cittadinanza, accusa la tv di Stato, controllata dalla maggioranza, di non avere pubblicizzato adeguatamente i quesiti. Magi si è recato davanti alla sede Rai travestito da “fantasma“.

La terza e ultima polemica riguarda il Partito democratico, che un decennio fa introdusse il Jobs Act e che oggi invita a votare per abolirne gran parte.

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