Referendum 8 e 9 giugno 2025, i quesiti su lavoro e cittadinanza spiegati in parole semplici dall'esperto
Il politologo Carlo Galli spiega in parole semplici i 5 quesiti dei Referendum dell'8 e del 9 giugno 2025, dalla cittadinanza al lavoro
Domenica 8 e lunedì 9 giugno 2025 i cittadini italiani saranno chiamati a esprimersi su 5 referendum abrogativi, che chiedono ai cittadini se cancellare in tutto o in parte una legge in vigore. Di questi, 4 sono sul lavoro e sono promossi dalla Cgil insieme ad altre associazioni della società civile. Il quinto, sulla cittadinanza, è stato invece proposto dal partito +Europa insieme a Possibile, Psi, Radicali Italiani e Rifondazione Comunista. Perché siano validi serve raggiungere il quorum, ossia almeno il 50% + 1 degli aventi diritto. A Virgilio Notizie, il politologo Carlo Galli, già Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Bologna, ha spiegato i quesiti del Referendum.
- Come si vota al Referendum
- Per cosa si vota: dal Jobs Act alla cittadinanza
- I singoli quesiti
- L'intervista a Carlo Galli
Come si vota al Referendum
I seggi elettorali apriranno domenica 8 giugno alle ore 7 e chiuderanno alle ore 23. Ci sarà tempo per votare anche lunedì 9 giugno, ma solo dalle ore 7 alle ore 15.
Ad ogni quesito è associata una scheda di colore differente: si può votare singolarmente e anche solo per alcuni, escludendone altri.
Per esprimere la propria preferenza occorre presentarsi ai seggi muniti di un documento di identità valido e della tessera elettorale.
In caso di esaurimento degli spazi, furto o smarrimento della tessera o di mancata ricezione della stessa è possibile chiederne il duplicato, informandosi con il proprio Comune riguardo alle modalità.
Per cosa si vota: dal Jobs Act alla cittadinanza
I 4 quesiti che riguardano il lavoro chiedono, tra le altre cose, l’abrogazione del Jobs Act, la legge sul lavoro introdotta nel 2015 dall’allora Governo Renzi, oltre ad alcune altre norme, approvate che nel corso degli anni.
Tra queste, la responsabilità solidale delle aziende committenti in caso di infortunio e malattia professionale dei lavoratori che prestano la loro opera con contratti di appalto.
Il referendum sulla cittadinanza, invece, è stato fortemente voluto dal deputato Riccardo Magi, di +Europa, e ha trovato il sostegno anche di altre forze politiche e associazioni, superando lo scoglio delle 500 mila firme e raggiungendo le 637 mila adesioni.
I singoli quesiti
Quesito numero 1: licenziamento illegittimo
Il primo quesito, sul lavoro, riguarda i licenziamenti illegittimi e le norme che consentono di non reintegrare un lavoratore licenziato in modo illegittimo se è stato assunto dopo il 7 marzo 2015, nello specifico nelle imprese con più di 15 dipendenti, neppure se un giudice stabilisce che l’interruzione del rapporto di lavoro era stata ingiusta o infondata.
Ad oggi in questa condizione è previsto un indennizzo economico tra le 6 e le 36 mensilità di stipendio.
Quesito numero 2: l’indennità
Il secondo quesito chiede l’eliminazione del limite all’indennità per i lavoratori licenziati in modo ingiustificato nelle piccole aziende, con l’obiettivo di aumentare le tutele nelle aziende come un organico inferiore alle 16 unità.
In caso di “sì”, con questa riforma non ci sarebbe più il limite delle 6 mensilità e l’indennità verrebbe stabilita di volta in volta da un giudice che valuterebbe, ad esempio:
- gravità della violazione
- età
- condizione familiare del lavoratore
- condizione economica dell’azienda
Quesito numero 3: contratti a tempo indeterminato
Anche il terzo quesito si riferisce al Jobs Act: i promotori chiedono di abrogare, quindi cancellare, alcune norme sull’utilizzo dei contratti a tempo determinato, per esempio quelle per cui un datore di lavoro può stipulare questo tipo di contratto fino a 12 mesi senza indicare un motivo specifico per il quale vi ricorre (e non opta, invece, per un contratto a tempo indeterminato).
Quesito numero 4: gli infortuni
Il quarto quesito sul lavoro, infine, vuole aumentare la responsabilità dell’imprenditore committente in caso di infortuni sul lavoro o malattie professionali.
Oggi il datore di lavoro committente è responsabile in solido con l’appaltatore e i subappaltatori per i danni subiti dai lavoratori che non hanno la copertura assicurativa, mentre è esentato se i danni sono dovuti a rischi specifici dell’attività dell’appaltatore o del subappaltatore. Il referendum vuole eliminare quest’ultima clausola.
Quesito numero 5: la cittadinanza italiana
Il quesito sulla cittadinanza, invece, vuole ridurre dagli attuali 10 anni a 5 anni il periodo di residenza regolare minima necessaria per poter presentare domanda.
La modifica, che interesserebbe almeno 2,3 milioni di persone in Italia, riguarda quindi l’articolo 9 della legge 91 del 1992, ma non i requisiti per ottenere la cittadinanza italiana, come:
- conoscenza della lingua italiana
- reddito stabile
- non aver commesso reati
Una volta riconosciuti cittadini italiani si può, già oggi, trasmettere lo stesso diritto ai figli.
L’intervista a Carlo Galli
Ben 4 sono i quesiti sul lavoro. Perché è così importante oggi questo tema?
“Si tratta che di un tema pagante a livello politico, tant’è che ben 4 quesiti su 5 vertono su questo. Ma per capire perché se ne parla va fatta una premessa. Il referendum verte in larga parte sulla richiesta di abrogazione del Jobs Act e di alcune sue parti o altre norme di lavoro. Bisogna tornare, quindi, al 2015: non c’era ancora stata la pandemia e si usciva dalla fase di austerità del Governo Monti. Il Jobs Act era stato pensato e voluto da Renzi, all’epoca segretario PD, con una chiara impostazione neoliberista: alla base c’è l’idea che il mercato possa e debba trovare un proprio equilibrio senza necessità di eccessive norme regolatorie che lo limitino. A ciò si aggiunga l’idea di superamento del posto fisso e della possibilità di licenziamento, anche senza giusta causa, a fronte di una compensazione economica”.
Perché oggi queste norme sono tornate al centro dell’attenzione con il referendum?
“Perché, da un punto di vista economico non si è ottenuto il risultato sperato, complici anche altri avvenimenti degli ultimi anni. Intanto perché per rivitalizzare l’economia si è visto che occorrono anche investimenti, consumi ed esportazioni; ma anche perché, politicamente, il tema del lavoro ha una forte valenza simbolica, in un momento in cui i salari, pur crescendo nell’ultimo anno, non hanno avuto un incremento pari a quello dell’inflazione: a fronte di un +17% nel costo della vita, i salari hanno registrato complessivamente un + 9%”.
A promuovere i referendum sul lavoro, però, è stato il sindacato. Come mai?
“Il fatto che il primo promotore sia la Cgil (la Cisl, per esempio, ha posizioni differenti) ha una forte valenza: il sindacato si è in qualche modo sostituito alla politica, di cui sottolinea l’inerzia in questo campo. L’obiettivo è mettere in difficoltà il Governo più di quanto non riescano a fare le opposizioni. D’altro canto lo stesso PD è spaccato al suo interno sui quesiti: nonostante l’uscita di Renzi, larga parte del partito non ha un’idea negativa del Jobs Act. Escludendo la politica estera e questioni come l’antifascismo, il terreno del lavoro appare il più adatto per sfidare l’esecutivo”.
Nel merito, in caso di vittoria del “sì” ci potrebbe essere una piccola rivoluzione delle norme che riguardano proprio il lavoro?
“C’è chi pensa che, in caso di affermazione del ‘sì’, non si tornerebbe comunque allo Statuto dei lavoratori, ma alla legge Fornero. Ma non credo ci siano da aspettarsi grandi effetti concreti, materiali, perché il vero nodo è il raggiungimento del quorum”.
Il referendum è di tipo abrogativo e, come in occasione di altre consultazioni analoghe, la vera incognita è proprio rappresentata dall’astensionismo, crescente negli ultimi anni. È una condizione che accomuna l’Italia ad altri Paesi europei e non solo. Lo sarà anche in questa occasione?
“Sì, penso di sì. Ciò che ci si chiede non è tanto se vinceranno i ‘sì’ o i ‘no’, quanto se si raggiungerà il quorum. Da qui le dichiarazioni sia delle opposizioni che dei partiti di Governo, con questi ultimi che hanno invitato a non votare, e i primi che accusano la maggioranza e il sistema informativo controllato pubblico di aver messo una sordina all’appuntamento referendario”. È
A livello politico, se il referendum passasse, ci potrebbero essere scossoni per il Governo?
“È chiaro che ci si chieda chi saranno i ‘vincitori’ e chi i ‘vinti’, in qualunque caso. Ma io osserverei che il Governo ha già agito con alcune scelte: ad esempio, scegliendo come una data di svolgimento che coincidesse con quella del primo turno delle numerose elezioni amministrative in programma per la prima settimana di giugno. Nel merito, poi, l’esecutivo sostiene che il problema del lavoro non si risolve con il referendum né col salario minimo, ma che occorre un ciclo espansivo di investimenti economici. In ogni caso non è un tema caro al centro-destra. Ha più una valenza simbolica perché, in caso di vittoria dei ‘sì’, significherebbe aver perso parte del consenso elettorale, per questo invita a stare a casa”.
Quali equilibri potrebbero cambiare, invece, all’interno dell’opposizione?
“Se non si dovesse raggiunge un quorum, come accade da molto tempo, certo qualcuno ne uscirebbe sconfitto. Per questo motivo si sta già accusando il centro-destra di invitare all’astensionismo o non promuovere a dovere il referendum. Ma temo che il primo sconfitto sarebbe il sindacato. Quanto al PD, la segreteria si è pronunciata a favore del ‘sì’, pur con qualche tentennamento. Ma sta vivendo una fase di debolezza politica: in caso di sconfitta potrebbe esserci un rimescolamento interno, pur senza un cambio al vertice, che in questa fase non può permettersi perché sarebbe un segnale di sbandamento. Certamente ne uscirebbe rinvigorita l’ala riformista del partito”.
Quanto al quesito sulla cittadinanza, potrebbe essere forse più sentito dalla popolazione?
“È certamente il più masticabile, non ha riflessi economici, ma rientra nella sfera dei temi sui diritti civili e soggettivi. Non credo, però, che abbia la forza di portare alle urne chi, pur non interessato ai quesiti sul lavoro, voglia votare solo sulla cittadinanza. È sicuramente quello che attrae di più, quindi credo che possa essere stata una scelta opportuna e astuta quella di collegare i quesiti economici a questo: richiamerà qualcuno in più alle urne, anche se non penso farà una differenza sostanziale”.
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