Mario Biondi e la seconda vita delle auto d’epoca

Il re del soul italiano racconta in esclusiva a Virgilio Motori la sua passione per le auto storiche, di cui è collezionista, e la missione di concedere loro una seconda vita elettrica.

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Virgilio Motori

Redazione

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Non esiste nulla di più soul della voce di Mario Biondi, anche quando parla. Ipnotica, potente, irriverente. Tanto profonda quanto il motore di un’auto d’epoca, le stesse che Mario ama e colleziona fin da giovane. Quando lo raggiungiamo al telefono, si trova da Medici Style a Reggio Emilia a sistemare gli interni della sua Mercedes Pagoda del 1966. La passione di Mario Biondi per le auto è stata anche il carburante di Electromod, un viaggio televisivo che lo ha portato a concedere una nuova vita elettrica a dei modelli iconici, assistito da grandi professionisti del settore come Nicola Venuto.

Le vetture protagoniste sono state una Lancia Delta Lx, che ha preso le sembianze della pluripremiata Delta Integrale, una Fiat 124 spider degli anni sessanta che ha ripreso la strada con un cuore full electric, fino a una gloriosa Fiat Panda, all a quela sono state aggiunte molteplici applicazioni, e una Mini Cooper S R53 che ha ritrovato il suo carattere grintoso grazie al motore dual mode.

Nel suo viaggio, Mario Biondi ha incontrato anche auto di lusso, come una Porsche Boxster S completamente abbandonata e in pessimo stato che è tornata on the road con un motore full electric, e una inedita bEast 400, realizzata partendo dalla sola scocca di una Ferrari 400i.

Virgilio Motori ha intervistato in esclusiva Mario Biondi per approfondire la sua passione per le auto d’epoca e la sua missione di ridare una seconda vita elettrica ai modelli più disastrati. 

Da dove nasce la tua passione per le auto?
All’origine c’è mio padre, che era un appassionato Porschista. Si era innamorato della Volkswagen-Porsche 914 negli anni ’70: prese la prima e poi da lì cominciò a comprarle, risistemarle e rivenderle. Gli piaceva salvare le macchine e mi ha trasmesso questa missione, tanto che oggi molti dei miei amici mi chiamano “il salvatore di automobili”. Quando vedo oggetti belli, come questo Pagoda che ho davanti in questo momento e che ho trovato in condizioni disastrate, mi piace tornare a dargli la forma che avevano in origine.

Alla missione di ridare una seconda vita alle auto, si aggiunge l’importanza di farlo in elettrico. Come avviene questo processo?
Nel caso di Electromod abbiamo preso delle auto che erano in condizioni abbastanza disastrose, ricordo ad esempio la Fiat 124 che aveva il motore e gli interni non suoi, in pratica aveva perso la sua connotazione di storicità. A quel punto, l’idea è stata quella di provare a reinventarla in un modo nuovo, mantenendo comunque il più possibile la sua linea originale. Abbiamo creato quindi i parafanghi in stile 914, squadrati e un po’ bombati. E poi abbiamo ragionato su un motore elettrico che potesse supportarci in questa avventura, perché quello che aveva era spompato e non aveva un grande futuro.

Come nasce la ricerca delle auto da trasformare?
In linea di massima la scelta ricade su oggetti che siano quasi da rottamare e non abbiano grandi possibilità di salvezza. E quindi l’idea è stata di provare a dargli una nuova vita con un motore elettrico e il supporto di accessori che possano conferire un tocco di modernità all’oggetto.

Quale è la prossima auto che vorresti elettrificare?
Mi è piaciuto molto il progetto che abbiamo fatto sulla Mini, che ha acquisito il motore elettrico posteriore, diventando una 4X4 con un bel po’ di cavalli in più, grazie all’apporto di questo motore. Farei un’altra auto di questo genere, aggiungendo l’elettrico al motore a scoppio.

Cosa rispondi ai puristi che storcono il naso al pensiero di elettrificare un’auto d’epoca?
Li capisco perfettamente perché a mia volta sono innamorato delle auto storiche. Anch’io – in questo momento – potrei prendere il motore del mio Pagoda, estrarlo, metterlo in una cassa e lasciarlo riposare per qualche anno, montando nel frattempo un motore elettrico, che concederebbe longevità al motore originale e mi permetterebbe anche di guidarla in un centro storico senza problemi. È un’operazione che si può fare, ma mi mette sempre in imbarazzo quando si tratta di auto in perfette condizioni. Diverso è quando si parla di auto in condizioni precarie, che hanno bisogno di una seconda vita. Ovviamente un purista non può concepire l’elettrificazione di un’auto storica, ma occorre trovare una via percorribile che vada bene a tutti. Ad esempio, tempo fa avevo riflettuto sulla possibilità di dare una voce al motore elettrico: fare il campionamento del motore originale e del suo sviluppo sonoro naturale, implementandolo in un motore elettrico.

Questa è un’idea bellissima e convincerebbe anche molti puristi.
Sì, ed è ormai una pratica sdoganata anche sulle auto moderne. Pensa a certe Mercedes o auto importanti che – nonostante elettriche – hanno un sound design importante. Molti di questi suoni sono concepiti in laboratorio.

Dal 2016 è in vigore il regolamento ‘Retrofit’ e l’Italia è stata la prima nazione in Europa a aderire. Come mai l’opinione pubblica è ancora così ostile nei confronti dell’elettrico, è solo una questione di costi?
Sicuramente l’impatto economico di un’auto elettrica è importante: per avere un certo tipo di performance e di autonomia, devi andare su modelli dagli 80 ai 140mila euro, cifre che una famiglia normale farebbe decisamente fatica a sostenere. L’idrogeno attualmente può essere una soluzione: ho visto delle macchine interessanti con un’ottima autonomia e batterie di ricambio. Anziché star fermo al rifornimento, cambi le tue batterie nei 10 minuti che impiegheresti per fare benzina e riparti con un’auto che ha altri 800 chilometri di autonomia. Ti fai l’Italia in lungo e in largo.

A proposito di Italia, la Newtron (la società che partecipa al programma Electromod, ndr.) è la dimostrazione tangibile che la transizione energetica può essere anche un’opportunità per far emergere le nostre eccellenze imprenditoriali del territorio.
Su questo non nego il mio orgoglio siculo. Ci sono zone come quella del messinese che facevano realmente fatica ad emergere, nonostante avessero delle idee interessanti dovevano comunque fare i conti con una posizione logisticamente svantaggiata. Invece Newtron è riuscita a compiere imprese molto importanti, senza necessariamente essere milanese o torinese: questa è una grande soddisfazione.

Da padre, come vedi oggi il rapporto tra i giovani e le auto? Un tempo, appena compiuti 18 anni sognavamo di averne una, oggi non sembra più così.
È vero, oggi i giovani sembrano molto più disinteressati. Per me e ancor di più per mio padre, l’automobile era sinonimo di indipendenza e anche di ricchezza. Oggi, ad esempio, vedo mia figlia che ha quasi 24 anni e vive a Milano, si muove benissimo senza neanche avere la patente. Non le interessa, non vuole neanche prenderla. A mio figlio di 27 anni, tempo fa regalai una SLC 350 del 1978, la coupè della Mercedes, un oggetto straordinario. Gliel’ho lasciata fuori da casa sua e lì è rimasta – ferma – per oltre un anno e mezzo, al che me la sono ripresa. Eppure, ancora oggi capita di incontrare dei giovani che si appassionano alle automobili e si innamorano ancora di qualche oggetto d’epoca. Per esempio, i miei due figli di 15 e 16 anni che stanno frequentando una scuola qui a Parma – Forma Futuro – dove si studia proprio la meccanica e la meccatronica. Loro sono molto appassionati, tanto che spesso li porto in giro a visitare le varie realtà automobilistiche, come farò a breve quando andrò con loro dal mio amico Horacio Pagani.

A breve partirai anche per un tour europeo che toccherà dalla Spagna alla Germania, passando addirittura per l’Australia.
Ammetto che in questo momento la mia priorità è mia moglie e la nostra bimba che arriverà a fine marzo e si chiamerà Luna. Poi, dopo questo evento, partiamo e ci dedicheremo effettivamente al nostro giro europeo e a tornare sui palchi, scambiando affetto e musica con chi ci dà sempre tantissima energia. Questa volta andremo a scoprire anche un territorio nuovo – l’Australia – che non avevo mai visitato finora né per turismo né per lavoro. Sarà una bellissima esperienza.

Crooning Undercover è invece il titolo del tuo ultimo progetto discografico, un mix di cover e inediti, impreziositi dalla presenza di tanti protagonisti del panorama jazz italiano e internazionale.
Sono estremamente orgoglioso di questo progetto: Crooning Undercover è un disco che mi ha ispirato fin dall’inizio, mi è piaciuta la sua realizzazione. Ammetto che con il passare del tempo riesco sempre a scovare qualche difetto al suo interno, ma questo è tipico del mio carattere. È un disco che mi ha dato molta soddisfazione: contiene dei brani così importanti e immortali che ogni volta che li riascolto, me ne innamoro.