Possono delle scarpe da ciclismo “elettriche” essere considerate un accessorio di mobilità intelligente? Da un certo punto di vista si, per quanto appartengano ad un mondo più che altro agonistico e rappresentino una finezza certamente non essenziale per il ciclista medio (e soprattutto per quello amatoriale o urbano). Il nuovo prodotto di Shimano, delle scarpe da ciclismo con sensori di movimento, farà sicuramente parlare di sé: certamente rappresenta bene un modello di progettualità molto in voga attualmente, che invade aspetti umani la cui gestione era una volta delegata alle capacità profonde del corpo e della mente.
Indice
Smart, non tech
Il concetto di smart-mobility è spesso involontariamente sovrapposto a quello di tecnologia e design innovativo; più in generale poi, viene fatto coincidere con il veicolo del caso, qualunque esso sia. In realtà il mezzo di trasporto è solo uno degli elementi che servono a comporre un corretto piano di mobilità intelligente, nel quale sono coinvolte molte aree spesso apparentemente distanti all’idea che abbiamo di trasporto. In questo quadro, parlare di efficienza dei movimenti corporei è perciò certamente sensato: il problema, come dicevamo all’inizio, è capire se questa delega esterna non sia lesiva della nostra capacità interiore di condurre il gioco. Questo purtroppo vale per molti aspetti della vita moderna, e le nuove scarpe di Shimano incarnano questo dilemma.
Come funzionano le scarpe di Shimano
Si tratta in pratica di calzature sensorizzate capaci di interagire con il ciclista e con il contesto territoriale, per offrire una pressione sul pedale più corretta ed efficiente. Grazie ad una serie di rilievi effettuati sul corpo del ciclista e sulla bici in corsa, queste scarpe sono in grado di spostare il punto di pressione sul pedale in modo da posizionarsi nella migliore configurazione possibile. Possono dunque capire se siamo in piedi, in discesa o in salita, se stiamo effettuando uno sprint e regolarsi di conseguenza. Questo si traduce in una perfetta geometria del ciclista sulla bici, geometria che può variare di volta in volta anche nel giro di pochi secondi. Ovviamente parliamo di una questione millimetri, se non di meno, tanto però è sufficiente a rappresentare una differenza sensibile in termini cronometrici, ovviamente per contesti agonistici.
L’importanza dei dettagli
L’idea, per il momento soltanto un brevetto della casa giapponese, è buona, affascinante e a tratti pure inquietante. Quanto infatti dobbiamo spingerci in questa direzione? Quanti accessori ancora possiamo potenziare con sensori ed elettricità? È ovviamente chiaro che a lungo andare questa tendenza abbia un impatto sulle nostre capacità di controllo, in questo caso dei micro-movimenti di assetto che dobbiamo compiere per migliorare la posizione sulla bici. Tuttavia è inevitabile pensare alle applicazioni che una simile invenzione potrebbe avere in contesti diversi, come quello della mobilità urbana. La posizione di guida è uno degli aspetti più trascurati da chi usa la bici per andare al lavoro e che, giustamente, non possiede delle conoscenze bio-antropo-metriche. Una corretta posizione influisce su:
- comodità e sicurezza di guida, e quindi sulla frequenza d’uso;
- consumo della batteria nel caso delle e-bike;
- fatica, e di conseguenza sulla produzione di sudore.
Sono tutti aspetti che influiscono a loro volta sulla diffusione e l’utilizzo effettivo che le persone fanno della bici e, di riflesso, sulla quota investimenti che le amministrazioni ritengono di dover effettuare per agevolare la mobilità ciclistica.
I limiti tecnologici
Ovviamente un paio di scarpe elettrificate non hanno da sole il potere di cambiare le cose, ma è lecito domandarsi quanto abbia senso investire su questo genere di tecnologie per ottenere un risultato utile per fini, soprattutto ambientali, che ci siamo promessi. Chiaramente tutto ciò vale anche per altri veicoli: avere mezzi di trasporto sempre più tecnologicamente avanzati e capaci di sostituire alcune nostre facoltà è davvero di aiuto nel lungo periodo? Verrebbe da dire di no, perché il concetto di smart mobility si potrebbe riassumere come la capacità di capire come spostarsi in relazione al contesto e a sé stessi. Simili facilitazioni annullano, o perlomeno influenzano, il piccolissimo sforzo che una persona è costretta a compiere per capire appunto qual è la migliore modalità di spostamento da adottare; qui ovviamente ci addentriamo in un campo molto più vasto, quasi filosofico, ma è innegabile che, nel caso dell’essere umano, la via di minor resistenza non sia quasi mai una scelta saggia.
Il quadro generale
In ogni caso, è probabile che di queste nuove scarpe di Shimano ne sentiremo parlare, sicuramente in termini più sportivi: ogni tanto però è anche giusto ricordare il quadro generale di riferimento, e se siamo arrivati a delle scarpe “intelligenti” è forse giunto il momento di farlo. Infine è bene tenere a mente che l’impatto delle scelte di un singolo è ovviamente limitato da decisioni molto più grandi di lui e che si tratta di due campionati distinti.
L’idea che le azioni di un individuo abbiano un impatto a larga scala è un concetto superato, certamente non più valido in un mondo complesso come il nostro: si tratta di un equivoco di cui dovremmo sbarazzarci, anche perché una certa politica tende a sfruttarlo a suo favore.
Scegliere di muoversi in bicicletta, con i mezzi pubblici o più in generale in modo responsabile non significa pensare di influire sul destino del mondo, significa soprattutto aver maturato dei meccanismi di valutazione generali non più orientati verso l’individualismo, bensì verso la collettività, umana e ambientale (comprensiva dunque di animali, piante, materiali, ecc.). E questo sì che ha un impatto.
Le eccessive facilitazioni promosse (e promesse) dalla tecnologia incidono su questo processo, ecco perché arrivati ad un certo punto è giusto e doveroso parlarne, almeno per prenderne coscienza.