Chi era Aldo Tortorella, il partigiano Alessio sfuggito ai fascisti che entrò nel Pci e criticò FdI di Meloni
Aldo Tortorella morto a Roma a 98 anni, mille vite in una: partigiano, giornalista, deputato e dirigente del Pci ai tempi di Berlinguer
Aldo Tortorella è morto a Roma, a 98 anni. Un passato da partigiano, con il nome in codice Alessio, e una lunga carriera politica da dirigente del Partito comunista italiano (Pci) guidato da Enrico Berlinguer. Negli anni del regime venne arrestato dai fascisti, ma riuscì a scappare. Nel corso degli anni ha scritto diversi editoriali, senza risparmiare critiche a Fratelli d’Italia.
- Morto il partigiano Aldo Tortorella
- Chi era Aldo Tortorella: dalla fuga dai fascisti al Pci di Berlinguer
- Gli editoriali su "Critica marxista" e l'attacco a FdI e Giorgia Meloni
Morto il partigiano Aldo Tortorella
Ad annunciare la morte di Aldo Tortorella è stato Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale dell’Associazione nazionale partigiani italiani (Anpi).
Queste le sue parole, diffuse attraverso una nota:
“Con infinito dolore annuncio la scomparsa del carissimo Aldo Tortorella, il partigiano Alessio, parlamentare, intellettuale di straordinaria levatura, un punto di riferimento per tutta l’Anpi e per tutte le antifasciste e gli antifascisti. Un compagno”.
Chi era Aldo Tortorella: dalla fuga dai fascisti al Pci di Berlinguer
Aldo Tortorella era nato a Napoli il 10 luglio 1926.
Durante gli studi universitari si unì alla Resistenza a Milano, venendo soprannominato il partigiano Alessio e reclutando gli studenti della Cattolica.
Arrestato dalla polizia fascista durante una retata, riuscì a scappare dal carcere e a nascondersi a Genova, continuano a partecipare alla Resistenza come dirigente del Fronte della Gioventù.
IPA
Liberata l’Italia, diventa caporedattore prima e vicedirettore poi a L’Unità di Genova, arrivando a dirigere la redazione di Milano dal 1958 al 1962, fino alla direzione nazionale dal 1970 al 1975.
Nel frattempo era diventato segretario della Federazione milanese del Pci, e poi del comitato regionale lombardo.
Nel 1972 viene eletto deputato col Pci, siederà in Parlamento fino al 1994.
Appartenente alla corrente del segretario Enrico Berlinguer, diventa responsabile delle politiche per la cultura del Pci.
Critico verso il compromesso storico prima e la svolta della Bolognina poi, diventa presidente del Pci nel 1990: ci resterà fino al 1991, prima della trasformazione del partito in Partito democratico della sinistra (Pds).
È rimasto anche nei Democratici di sinistra (Ds), partito lasciato nel 1998 al tempo del Governo D’Alema e della guerra del Kosovo, dato che era profondamente contrario al conflitto appoggiato dall’Esecutivo.
Ha fondato e diretto negli ultimi due decenni l’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, il cui organo è ancora oggi Critica marxista, vecchia rivista del Pci.
Gli editoriali su “Critica marxista” e l’attacco a FdI e Giorgia Meloni
In uno dei suoi editoriali su Critica marxista, datato novembre 2022, Aldo Tortorella non aveva risparmiato critiche a FdI e Giorgia Meloni.
Dopo aver ricordato che “lo sciovinismo fascista produsse solo guerre di aggressione, rovina e morte, disastro nazionale”, aggiunse che in questi tempi dobbiamo al fallimento della globalizzazione il ritorno diffuso o l’esasperazione di un nuovo nazionalismo: aggressivo nei Paesi maggiori, subalterno altrove. Il fascismo italiano si volle presentare come continuatore, addirittura, della romanità imperiale, il nazismo come vendicatore della razza eletta“.
Tortorella aveva poi criticato le politiche di Donald Trump, sostenendo che:
“A questo modello, con gli adattamenti necessari, e con la lezione dell’amico Orban, si riferisce visibilmente il partito dei ‘fratelli d’Italia’ esperti di trasformismo. Ma i suoi capi sono ben attenti a non rinnegare il passato donde presero le mosse e che costituisce la loro fama di coerenza e il loro retroterra anche elettorale. Perfettamente al contrario di quel che fece la sinistra erede del Pci, vergognandosi di una storia che era stata determinante per la costruzione della democrazia in Italia […]. E mentre la sinistra rinunciava ad una propria autonoma visione del mondo, gli ex-fascisti rielaboravano la loro per adattarla ai tempi mutati. Come il simbolo ereditato: resta la fiamma, scompare il profilo simbolico della bara di Mussolini da cui la fiamma usciva. Dio, patria, famiglia: cioè uso strumentale, per il proprio potere, della religione, dell’amore alla propria terra e alla propria famiglia”.
