Storia e curiosità del furgoncino Volkswagen simbolo di Woodstock

Oltre che per il concerto di Woodstock, il furgoncino Volkswagen Bulli è passato alla storia anche per altri motivi, che contribuiscono al suo fascino

Foto di Manuel Magarini

Manuel Magarini

Giornalista automotive

Classe 90, ha una laurea in Economia Aziendale, ma un unico amore: la scrittura. Da oltre dieci anni si occupa di motori, in ogni loro sfaccettatura.

Pubblicato: 14 Giugno 2024 11:04

“Non riguardava sesso, droghe e rock ‘n roll. Riguardava spiritualità, amore, condivisione, aiutarsi a vicenda, vivere pace e armonia”. Tenutosi dal 15 al 18 agosto 1969, il concerto di Woodstock è diventato un emblema del movimento di controcultura degli anni Sessanta. La frase in apertura venne pronunciata da Richie Havens, cantante e chitarrista afroamericano, il primo a salire su quel palco. In un’epoca come quella attuale dove la funzione aggregativa della musica è venuta un po’ meno, i dati registrati allora superarono ogni previsione. I partecipanti aderirono spinti dal medesimo obiettivo: promuovere valori quali la pace e l’uguaglianza. In questo contesto nacque anche il mito del Volkswagen Bulli.

Il significato del concerto

In principio, i promotori dello show lo concepirono come un’impresa a scopo di lucro. L’idea era di guadagnare abbastanza denaro per costruire uno studio di registrazione vicino alla città. Tuttavia, i piani andarono in fumo, dal momento che l’amministrazione cittadina negò il permesso di organizzarlo. Alla fine, il contadino Max Yasgur decise di ospitarlo presso la sua terra. Pochi biglietti vennero venduti, ma circa 400.000 persone si presentarono con la pretesa di accedere gratis, e le misure di sicurezza deficitarie lo consentirono.

In un clima forse irripetibile, passò alla storia uno scatto dell’Associated Press, poi venduto ovunque: ritraeva una coppia di ragazzi a piedi nudi sul tetto di un Volkswagen Bulli. Il muralista Robert Richard Hieronimus, alias Dr. Bob, lo dipinse pochi mesi prima nella comune in cui risiedeva, fuori Baltimora (Maryland). In origine chiamato Microbus Deluxe a 11 finestrini del 1963, venne ribattezzato Woodstock Bus, in riferimento al luogo verso cui era diretto.

Fu commissionato da una band locale, The Light, per partecipare alla manifestazione, il che lo portò alla notorietà pure col nome di Light Bus. La livrea divenne un pot-pourri di segnali visivi psichedelici e iscrizioni pacifiste in diverse lingue antiche. Un pizzico di astrologia, una sfinge, dei corpi celesti e la divinità indù Vishnu contribuirono a diffondere messaggi di speranza e illuminazione.

La nascita dell’idea

È curioso constatare che Bulli non era nemmeno il nome ufficiale. Gli addetti al marketing convennero di battezzarlo T2 (Type 2), derivante dalla designazione di fabbrica. Realizzato dal 1967 a Wolfsburg, era una seconda generazione. La prima, introdotta nel 1950, fu concepita dell’imprenditore olandese, Ben Pon: in visita all’impianto-sede di VW, ebbe una specie di folgorazione, imbattendosi nel Plattenwagen, un carrello semovente costruito dal personale dell’edificio per uso interno, “decapitando” un Maggiolino scartato.

Affascinato dall’idea di associare la robustezza meccanica di un esemplare già popolare alla versatilità di uno più prestante, Pon buttò giù su un foglio una bozza del furgoncino. Sognava una Germania capace di divertirsi, correre e crescere di nuovo. Reduce dagli orrori della Seconda guerra mondiale, la popolazione e i capi d’industria avevano smarrito lo spirito di leggerezza.

Dilagare di versioni

Il disegno, sottoposto all’attenzione dei dirigenti, piacque al punto da spingere all’avallo del progetto. Il veicolo commerciale poggiava su tre caratteristiche chiave: interasse di 2 metri, 750 kg di massa e motore posteriore. Rispetto ai classici rappresentanti del genere, era, dunque, meno imponente, affinché riuscisse a muoversi agevolmente tra le vie urbane, senza scendere, però, a compromessi in termini di capacità di carico. Il “cuore pulsante”, preso in prestito dal Maggiolino, era un quattro cilindri boxer raffreddato ad aria da 1.131 cc in grado di generare 25 CV.

Presentato al Salone di Ginevra nel 1950, il mezzo Volkswagen fece subito centro e nel giro di quattro anni aveva già 30 differenti versioni. I fan gli diedero poi il soprannome di Split-Bus per via del parabrezza angolato e diviso in due parti (split-screen). In principio gli addetti al marketing pensarono di assegnargli l’appellativo Bulli, una crasi dei vocaboli “Bus” e “Lieferwagen” (furgone per la consegna merci). La “l” aggiuntiva dipese sia da ragioni fonetiche sia dall’assonanza semantica con l’aggettivo “bullig”, in tedesco muscoloso e/o vigoroso. Piani cestinati a causa del copyright: un’azienda produttrice di trattori aveva depositato anzitempo il nome “Bully”.

Non identico, certo, ma le probabilità di incorrere in un contenzioso legale erano elevate, nonché un pronunciamento avverso del giudice, qualora la causa si fosse trascinata fino in tribunale. La denominazione era diversa in base al mercato presidiato: Panelvan (‘tocco di pane’, perché simile alla forma a pan bauletto) in Gran Bretagna, Hippy Van negli Stati Uniti, Kombi in Brasile, Campervan in Sudafrica. E in Italia? La scelta ricadde su Westfalia, come il costruttore dell’allestimento camper. Nel prosieguo vide la luce pure in Messico, Argentina, Australia e Brasile (fino al 2013).

Il comparto tecnico

Dal punto di vista tecnico, il Type 2 fu rivisto in modo significativo, con carrozzeria e parabrezza in un pezzo, impianto elettrico a 12V e propulsori di maggiore cilindrata. Approdò in Europa nel 1972, forte di tratti estetici affini alla futura Golf (tra le icone del 1974) ,in ritardo di un lustro rispetto all’esordio assoluto, quando lasciarono la catena di montaggio ben 9.541 modelli. Appena il preludio a quanto ne sarebbe state costruite da lì in avanti, infatti, laddove l’intera tiratura venisse disposta in fila indiana, riuscirebbe a espandersi in tutto il mondo.

Circa un quinto del totale è blu chiaro, il colore predominante della gamma VW. Non era un missile: arrivava fino ai 104 km/h, poco in confronto ai 193 km/h del California, discendente dei primi due modelli originali. Che, però, comparvero anche in film e serie TV: in Little Miss Sunshine (2006), la disfunzionale famiglia protagonista se ne serve mentre attraversa la California; in Lost vi ricorre il progetto Dharma.

E poi la capienza è straordinaria, tale da valere un posto nel Guinness World Record, avendo accolto, nel 2015, ben 50 persone al proprio interno a Malven, nel Regno Unito. Degli audaci proprietari lo hanno utilizzo a mo’ di struttura bed & breakfast. Nemmeno Lego ha resistito alla tentazione di dedicare al Volkswagen Bulli un omaggio: un set comprensivo di schermo anteriore diviso e arredamenti in stile rock & roll.

La quotazione alle aste

L’elevata richiesta di esemplari ha determinato una vera mania, riflessa nelle quotazioni folli alle aste: chi ne comprò uno all’epoca, sborsando una cifra tra i 1.400 e i 1.900 dollari, ha ora l’opportunità di realizzare un enorme guadagno. Il range oscilla da un minimo di 10.000 a un massimo di 70.000 euro, di norma. Ma le sorprese sono quasi all’ordine del giorno: in Australia una versione Lusso 23 vetri del 1960 è stata, ad esempio, battuta a 202.000 dollari locali, equivalenti a quasi 124.000 euro attuali. E la lunga lista di VIP che lo hanno in garage è lunga. Qualche nome? Lo chef e presentatore Jamie Oliver, l’ex pilota di Formula 1 Jenson Button, i musicisti Roger Daltry, Pete Townshend e Robbie Williams. Se restringiamo, invece, il campo a celebrità italiane, il comico Enrico Brignano ha restaurato un T1 Samba.