Nel cuore pulsante dell’Emilia-Romagna, a Sant’Agata Bolognese, nasceva nel 1963 una leggenda destinata a scrivere la storia. Ferruccio Lamborghini, già affermato imprenditore nel settore dei trattori, diede vita alla sua creatura: Automobili Lamborghini. Avendo coltivato da sempre il sogno di fondare una propria Casa, la mossa non fu una sorpresa. Non fu solo lui a sognare, ma ogni appassionato di belle vetture. Mai ha pensato di dare vita a una realtà come tante, basata sui volumi di massa.
Al contrario, ha messo nel mirino la fascia più alta della popolazione, in possesso di adeguate disponibilità economiche per permettersi il meglio del meglio al volante. Nell’ostinata ricerca del bolide “perfetto”, espressione di potenza, stile e innovazione italiana, il Toro ha segnato un prima e un poi nell’industria delle quattro ruote. A proposito, perché la scelta ricadde sul bovide? L’idea venne allo stesso Ferruccio, spinto da una duplice ragione: ammirava la specie, considerandola l’incarnazione di forza, potere ed energia, infatti nel tempo libero assisteva spesso e volentieri alle corride; il suo segno zodiacale era il Toro.
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I contrasti tra Ferruccio ed Enzo Ferrari
La storia della fondazione di Lamborghini è spesso legata a un acceso diverbio tra Ferruccio Lamborghini, affermato imprenditore, ed Enzo Ferrari. Secondo la tesi prevalente, il primo decise di lamentarsi col Commendatore, insoddisfatto della 250 GT da egli comprata, al che Enzo replicò: “Cosa ne sa lei di automobili, lei che fa trattori?”. A onor del vero, il racconto, seppur affascinante, sarebbe frutto dell’accesa fantasia giornalistica. Comunque, le divergenze riguardanti performance e qualità artigianale diedero, in effetti, a Ferruccio la scossa decisiva a imbarcarsi nel progetto.
Fin dal giorno uno, l’imprenditore desiderò farsi circondare da professionisti d’eccellenza, i migliori sul mercato, tra cui Giotto Bizzarrini, Gian Paolo Dallara, Paolo Stanzani e Franco Scaglione. Che pagarono lo scotto del debutto, con la fredda accoglienza riservata alla 350 GTV, frenata dal design troppo avveniristico. Nel corso dell’anteprima al Salone dell’Automobile di Torino del 1963, non aveva manco il motore, sostituito da dei… mattoni! Ciò poiché fu sviluppata in appena quattro mesi, nei quali gli ingegneri riscontrarono dei problemi proprio col suo montaggio.
A quel punto, il leader dell’azienda ebbe davanti a sé un bivio: chiudere bottega o concedersi una seconda chance? Scelse la seconda opzione. Stavolta, però, preferì affidare il progetto alla carrozzeria Touring di Milano. Ebbe ragione: presentato nel 1966, l’esemplare funzionò grazie a un’immagine classica, sobria ed elegante, abbinata a prestazioni da favola. Il successo aprì la strada a un radioso futuro, costituito nell’immediato dalla 400 GT e dalla 400 GT 2+2.
Nasce la Miura, tra le pioniere del motore posteriore
Mentre la linea di modelli classici proseguiva il suo cammino, il 1966 segnò l’anno della svolta con la presentazione della Miura. Tra le prime automobili con motore posteriore, il nuovo ingresso non era esente da difetti. Eppure, riuscì a riscuotere ampi successi sia di critica sia di vendite e, nelle sue varianti, rimase fino al 1973. Stabilì l’inizio della sinergia assieme allo stilista Bertone, in particolare con il suo designer Marcello Gandini, ‘papà’ di auto indimenticabili su cui il marchio emiliano decise di fare affidato per il post Touring, che aveva cessato con l’attività. A partire dalla Miura venne introdotta l’abitudine di chiamare i modelli col nome di un toro.
Una figura cruciale fu quella di Bob Wallace: entrato in principio come assistente alla produzione, seppe ritagliarsi sempre più spazio nelle strategie societarie. Nella fattispecie, divenne collaudatore capo e responsabile dello sviluppo su strada, data l’assenza di un circuito di prova dedicato. Se la Espada, una magnifica coupé sportiva a quattro posti, riprese lo spirito del prototipo Marzal, la Countach fu il capitolo post-Miura, esasperandone le caratteristiche. Mostrata per la prima volta nel 1971, approdò soltanto tre anni dopo, due dall’uscita di scena di Ferruccio. Che lasciò a sorpresa il timone, con la vendita della azioni all’uomo d’affari svizzero Georges-Henri Rossetti. La fabbrica dei trattori navigava in cattive acque e, alla luce dei movimenti sindacali, colui che diede il nome stesso all’azienda preferì canalizzarvi le energie. Il corso successivo mancò di tener fede ai buoni propositi e l’amministrazione controllata ne fu la logica conseguenza.
Nel 1980, i fratelli francesi Mimran comprarono Lamborghini all’asta. Benché nutrissero dei grossi piani a riguardo, anche con l’arrivo della LM002, il primo fuoristrada della Casa (e non l’Urus, come talvolta si è portati a pensare dato lo scarso seguito della prima, uscita a pezzi dal confronto con la Land Rover), mancarono l’obiettivo di restituirla ai vertici del settore. Così nel 1987 vendettero al colosso statunitense Chrysler. L’intesa, giunta a sorpresa, instillò delle speranze, naufragate alla prova del nove, a causa della divergenza di vedute di compagnie troppo distanti per natura. Nonostante le difficoltà, la Diablo nel 1990, l’erede naturale della mitica Countach, progettata da Marmioli disegnata sempre da Gandini sbancò le concessionarie.
La storia recente
La serie dei passaggi di proprietà continuò fino al 1998, quando, reduce da una parentesi quadriennale sotto il controllo di Megatech, una società indonesiana dedita quasi esclusivamente al risanamento finanziario, il Toro fu acquisito da Audi. L’esperienza e le conoscenze tecniche di Ingolstadt ridettero slancio a Lamborghini. Che, in apertura del nuovo millennio, svelò due pezzi da Novanta: la Murciélago, l’ammiraglia V12 del brand, e la Gallardo, la piccola V10 in grado di conquistare proseliti. Tra il 2013 e il 2016 le due fortunate produzioni hanno ceduto il posto alla Aventador e alla Huracán, capaci di non farle rimpiangere.
Il tetto della Aventador ha una forma curiosa, in quanto ispirato alle forme di un aereo e di diversi insetti, “quegli scarabei verde brillante dalle zampe frastagliate che hanno un cattivo odore quando li calpesti”, riprendendo le parole del capo progettista Perini. Il look ha stregato numerosi VIP, tra cui i cantanti Nicki Minaj, Kanye West e Justin Bieber, oltre al cinque volte pallone d’oro Cristiano Ronaldo, mentre il collega Rafael Leao ha preferito la Urus. VissutoOperatosotto l’egida di Stefano Domenicali, nominato presidente e amministratore delegato, Stephan Winkelmann ha riacquisito il doppio ruolo nel 2021. La presentazione della Revuelto nel 2023, la prima plug-in hybrid del Costruttore, il futuro sarà a tinte elettriche, nel segno della Lanzador: l’ennesima scommessa da vincere.