Facciamo un balzo nel passato e andiamo a immergerci nelle atmosfere degli anni ’70, anzi, precisamente del 1974. Tra pantaloni a zampa e lunghi mustacchi, cinquant’anni fa cosa succedeva nel mondo? In Portogallo veniva rovesciato il governo autoritario, negli Stati Uniti il Presidente Richard Nixon si dimetteva, mentre già da un anno imperversava la guerra del Kippur che fece emergere una crepa in Medio-Oriente con gravi conseguenze anche per l’Italia. Intanto, nel Bel Paese si affrontava il referendum sul divorzio e si fronteggiava la crisi petrolifera, varando le domeniche ecologiche durante le quali non si poteva circolare in auto. Bene, proprio la cara e vecchia automobile in quel periodo era un affare di “famiglia“, infatti il mercato nostrano era condizionato dai marchi italiani che dominavano in lungo e in largo. Sembra impossibile oggi, ma ieri era la normalità.
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Fiat faceva la voce grossa
Il 1974 fu un anno complesso per l’automobile, in generale. L’oro nero, il petrolio, e il suo costo esorbitante incise notevolmente sul settore delle quattro ruote, imbavagliato da una crisi come mai prima di allora. Anche per questa ragione i numeri del mercato italiano in quell’annata furono inferiori rispetto alla precedente. Tuttavia, furono immatricolate ben 1.269.000 nuove unità, delle quali il 72,3% era composto da modelli prodotti e fabbricati in Italia. Ovviamente, la voce grossa fu quella della Fiat che si permise di dare agli italiani più di una macchina su due. Il 53,9% delle immatricolazioni di quell’anno furono ad appannaggio dei modelli del colosso torinese, all’epoca dominatore della scena nazionale e internazionale.
Mirafiori era la grande fabbrica fiore all’occhiello dell’industria italica, una fucina creativa e dinamica, un avamposto invidiato anche al di là delle Alpi. Per ottenere questi notevoli traguardi, la gamma doveva essere molto ampia e nutrita. La Fiat, infatti, poteva vantare – come si direbbe oggi – una lineup formata dalle utilitarie spartane e funzionali come la veterana 500 e la recente 126, una compatta come la 127 (leader di vendite in Europa), una berlina da tutti i giorni come la 128, la classica 124 e sportive di vario grado comprese la X1/9, la 124 Coupé e Spider. All’elenco vanno aggiunte le varie 125, 130 berlina e coupé, 132, senza contare che proprio in quell’anno fu lanciata la 131, un’altra berlina che ha lasciato il segno nella lunga storia del marchio torinese. Insomma, c’erano auto per tutti i gusti e anche di più.
Alfa Romeo alla riscossa
Con gli occhi di una persona contemporanea sembrerebbe molto strano sapere che la seconda forza nel mercato italiano del 1974 era l’Alfa Romeo. Il glorioso Biscione era ancora un patrimonio di Stato, stabilmente presente nell’organigramma dell’IRI, e comandato sul campo da un presidente illuminato come Giuseppe Luraghi che da lì a poco avrebbe lasciato il timone. Da un paio d’anni l’Alfa aveva investito nella grande fabbrica di Pomigliano d’Arco, per dare una mano al Meridione e immettere forza lavoro in un’area in difficoltà come quella della provincia di Napoli. Questa onerosa operazione portò alla nascita di un’auto simbolo che diventerà leader di vendite in Italia e all’estero: l’Alfasud.
La prima compatta a trazione anteriore e motore Boxer nella storia del Marchio permise di ottenere clamorosi risultati commerciali. In quel lontano 1974, l’Alfa Romeo copriva una quota del 7,4% – come detto – seconda forza del mercato dello Stivale. Oltre alla giovane Alfasud, la gamma poteva contare sull’innovativa berlina media Alfetta, capofila per prestazioni e dinamica di guida, sulla grande berlina Alfa 2000, sulla veterana Giulia, l’affascinante Spider (coda tronca) e le sportive Giulia GT e Alfetta GT. Tra le altre si poteva anche ordinare un mostro sacro come la Montreal, considerata una muscle car all’italiana, con il suo prepotente motore a 8 cilindri. Nonostante la crisi petrolifera, l’Alfa Romeo godeva di ottima salute e le sue auto sfrecciavano orgogliose e gagliarde sulle strade di tutto il mondo.
Tante sorprese fra le migliori dieci
Sul terzo gradino del podio troviamo Renault, la prima casa straniera in Italia. I transalpini riuscirono a ottenere un ottimo 6,4% di quota mercato grazie soprattutto a vetture tuttofare, coraggiose e versatili come la R4 e la R5. La prima più idonea a sporcarsi le mani, la seconda più borghese e adatta anche alle famiglie. Ai piedi del podio troviamo l’Autobianchi (6%), attualmente marchio assente dalle scene da trent’anni, ma all’epoca in auge specialmente per merito della A112, una “citycar” raffinata e cattiva al punto giusto.
Al quinto posto con il 4,5% di quote scoviamo un altro brand scomparso da tempo immemore, Simca, che poteva contare sull’affidabilità della 1000, che pur avendo già tredici anni sulle spalle ancora teneva botta con energia. Al sesto posto nel mercato italiano di mezzo secolo fa troviamo Citroen (4,2%), l’amato Double Chevron che poteva annoverare oltre all’ammiraglia DS, due sfiziose e, al tempo stesso, pragmatiche utilitarie come la Dyane e la 2CV che da lì a breve avrebbero spiccato il volo in Italia, diventando due fenomeni di tendenza assoluta con qualche primavera di ritardo. Proseguendo verso la chiusura delle top 10 incappiamo nel settimo posto della Opel (3,1%), che poteva contare sulle forti Ascona e Manta, ben prima dell’arrivo di una best seller come la Corsa, mentre all’ottava piazza scoviamo un altro brand nostrano decaduto da almeno venticinque anni: Innocenti. All’epoca la Mini prodotta dal costruttore lombardo permise di avere un 2,7% di quota nel mercato. Infine, giungiamo laconicamente agli ultimi due posti della classifica.
Il nono posto fu tutto per la Ford (2,6%), che nel Bel Paese ha sempre avuto un appeal molto importante. All’epoca i modelli di punta erano la Taunus, la Escort e la Capri, mentre due anni più tardi sarebbe arrivata per la gioia di tutti la Fiesta. A chiudere la questione ci pensa Lancia, passata sotto l’egida della Fiat dal 1968, che nel 1974 otteneva il 2,2% di quota. All’epoca non c’erano citycar o utilitarie a tirare su le vendite della Casa di Chivasso, ma eleganti berline come la Fulvia e la Beta, sportive come la Fulvia Coupé, la Beta Coupé e Spider, e l’ammiraglia Lancia 2000. Per concludere, i marchi italiani erano i preferiti nello Stivale, favoriti anche da una tassazione che invece colpiva i modelli esteri, perché sapevano coinvolgere il prossimo con stile, prestazioni e personalità. Un’epoca molto lontana e uno scenario diametralmente opposto a quello odierno.