In questi anni lo SPID è diventato la soluzione principale per accedere ai servizi digitali della Pubblica Amministrazione. Prenotazioni sanitarie, bonus statali, accesso all’INPS, dichiarazione dei redditi: tutto passava (e passa ancora) da lì. Eppure oggi, dietro le quinte, si muove una strategia politica che potrebbe portare al suo spegnimento definitivo.
Il Governo, per bocca del sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti, ha confermato in audizione alla Camera la volontà di puntare tutto su un’unica identità digitale: la Carta d’Identità Elettronica (CIE). Si tratta di un cambiamento che solleva molte domande e preoccupazioni tra cittadini e operatori.
La decisione del Governo di “spegnere” lo SPID
Le parole di Butti non sono arrivate all’improvviso. Già nel dicembre 2022 il Governo aveva espresso la volontà di “armonizzare” l’Italia con gli altri paesi europei, dove spesso esiste un solo strumento digitale gestito direttamente dallo Stato. La logica, secondo il Governo, è quella di semplificare e centralizzare: un’unica identità, rilasciata dallo Stato, per garantire sicurezza e uniformità. Ma il passaggio non è solo una questione tecnica o normativa. Dietro lo spegnimento progressivo dello SPID c’è anche una precisa strategia economica e politica.
Lo SPID, infatti, non è gestito direttamente dallo Stato, ma da una serie di soggetti privati (Poste, Aruba, Infocert, ecc.) che hanno siglato un accordo con lo Stato e investito negli ultimi anni per sviluppare un sistema funzionante e molto usato. Secondo l’associazione Assocertificatori, questi operatori stanno fornendo il servizio in perdita da anni, anche a causa di fondi pubblici promessi e mai versati (si parla di circa 40 milioni di euro). Il risultato? Alcuni provider hanno iniziato a trasformare lo SPID da servizio gratuito a servizio a pagamento, scaricando i costi direttamente sugli utenti.
La CIE al centro del nuovo ecosistema digitale
Nel frattempo, lo Stato spinge la Carta d’Identità Elettronica come unica identità digitale. Ma qui nascono i problemi: la CIE non è mai decollata davvero nell’uso quotidiano, complice una tecnologia più complessa e una minore flessibilità rispetto allo SPID.
Nonostante questo, il Governo sta costruendo attorno alla CIE il nuovo portafoglio digitale nazionale, l’IT Wallet, che conterrà patente, tessera sanitaria e altri documenti. E lo SPID, secondo le bozze dei decreti, potrebbe essere escluso da questo nuovo sistema. Una mossa che, se confermata, segnerà la condanna definitiva dello SPID, rendendolo obsoleto e inutilizzabile nei servizi più innovativi.
Cos’è la Carta d’Identità Elettronica (CIE)
La Carta d’Identità Elettronica, spesso abbreviata in CIE, è il documento d’identità digitale rilasciato dallo Stato italiano. Oltre a sostituire il vecchio documento cartaceo, contiene al suo interno un microchip che consente l’autenticazione online ai servizi pubblici e privati. Grazie a questa tecnologia, la CIE può essere usata per identificarsi in modo sicuro, proprio come lo SPID.
Per funzionare al meglio, però, richiede dispositivi compatibili: ad esempio, per usarla da computer è spesso necessario un lettore di smart card, mentre da smartphone serve un telefono con tecnologia NFC (che permette anche il prelievo di contanti con il contactless) e l’app ufficiale “CIE ID”, che non sempre risulta intuitiva.
Insomma, a oggi è uno strumento potente ma non immediato, che al momento non ha ancora raggiunto il livello di semplicità d’uso e diffusione dello SPID. Il rischio più concreto è quindi che milioni di persone siano costrette a cambiare strumento senza un vero piano di transizione. Chi ha imparato faticosamente a usare lo SPID – inclusi molti anziani – potrebbe ritrovarsi davanti a una nuova interfaccia più complicata, senza assistenza adeguata e con costi potenzialmente aggiuntivi.