Cosa sono e come funzionano i sensori di parcheggio

I sensori di parcheggio sono dispositivi che aiutano i guidatori a completare la manovra di parcheggio. Scopriamo come funzionano, i vantaggi e gli svantaggi

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Manuel Magarini

Giornalista automotive

Classe 90, ha una laurea in Economia Aziendale, ma un unico amore: la scrittura. Da oltre dieci anni si occupa di motori, in ogni loro sfaccettatura.

Fatte salvo rare eccezioni, le auto moderne prevedono ricchi equipaggiamenti tecnologici, per la gioia sia delle nuove generazioni di conducenti sia dei veterani. L’impatto positivo si manifesta sotto diversi aspetti. Ad esempio, un impianto di infotainment efficace, compatibile con i moderni sistemi operativi iOS e Android Auto, ti consentirà di usufruire delle stesse funzionalità disponibili sugli smartphone. Allo stesso modo, le soluzioni ausiliarie alla guida riducono le probabilità di errori. In caso di distrazioni, semplici cali di tensione o scarsa visuale, vengono in soccorso. È poi sempre più diffusa la presenza di sensori di parcheggio specifici, che assistono i conducenti durante le manovre, così da scongiurare urti contro ostacoli o altri veicoli.

La modalità di funzionamento

Il loro funzionamento si basa su principi fisici semplici e intuitivi. Di norma collocati sul paraurti posteriore o anteriore della vettura, rilasciano in maniera regolare delle onde ultrasoniche ad alta frequenza. Inviate dai sensori, colpiscono gli ostacoli presenti nelle vicinanze e vengono riflesse indietro. Il tempo impiegato dalle onde per il viaggio di andata e ritorno viene misurato con precisione. Sulla base di quanto passa, il cervello elettronico di bordo calcola la distanza tra il rilevatore e l’ostacolo, tradotta in un segnale acustico o visivo che avvisa il conducente. In generale, una risposta acustica intermittente ne identifica una maggiore, mentre una continua o più intensa ne segnala una ravvicinata, invitando a frenare nell’immediato.

Le tipologie, i vantaggi e gli svantaggi

I sensori di parcheggio possono essere suddivisi in due grosse tipologie: a ultrasuoni ed elettromagnetici. I primi, già descritti sopra, sono quelli maggiormente diffusi. I secondi funzionano mediante un campo elettromagnetico generato da una striscia adesiva collocata sul paraurti. La presenza di un corpo metallico altera l’andamento e il sistema centrale viene avvertito. Sul target di pubblico a cui si rivolgono, i non nativi digitali nutrono, in certi casi, una sorta di reticenza verso qualunque innovazione, compresi i sensori di parcheggio.

Peccato che, così facendo, vengano messi in secondo piano i vantaggi derivanti, a partire dalla maggiore sicurezza, in quanto riducono le possibilità di urti e incidenti durante i parcheggi, specialmente in spazi stretti o con visuale deficitaria. Anche ai conducenti meno esperti risultano di grande utilità, soprattutto nell’esecuzione di manovre in posti angusti, dove la scarsa dimestichezza rischia di sortire dei disagi. Infine, proteggono il mezzo da graffi, altrimenti trattabili tramite un semplice trucco, e ammaccature dettate da contatti accidentali con ostacoli.

Siccome ogni medaglia ha due facce, delle criticità permangono. Il rilevamento è limitato, pertanto passano sotto il radar elementi aventi una certa altezza o non in metallo. Le condizioni atmosferiche inverse, come la pioggia intensa o la neve, hanno il potenziale di influire sul corretto funzionamento. Di tanto in tanto, si registrano pure dei falsi positivi, attribuibili alla natura degli oggetti quali paraurti alti o sconnessioni del sentiero. In definitiva, i sensori di parcheggio semplificano le operazioni ai guidatori, senza, però, andarli a sostituire. La vigilanza di chi siede al volante rimane un requisito indispensabile e lo sarà ancora per tanto tempo.