Delitto di Garlasco, dall'omicidio di Chiara Poggi alla condanna di Alberto Stasi e il Dna di Andrea Sempio
Il 13 agosto 2007 Chiara Poggi viene uccisa a Garlasco: una storia lunga 18 anni, dalla condanna di Alberto Stasi alle indagini contro Andrea Sempio
Il delitto di Garlasco inizia con una telefonata: alle 13:50 del 13 agosto 2007 il 118 riceve una chiamata da un giovane. “Mi serve un’ambulanza in via Giovanni Pascoli, a Garlasco”. È un piccolo paese in provincia di Pavia, nella Lomellina, dove fino a quel giorno la vita dei residenti scorre ordinaria, senza ombre. Specialmente in quella estate che, in pochi minuti, si macchia di un sinistro colore cremisi. Quel giovane ha 24 anni, studia alla Bocconi di Milano e si chiama Alberto Stasi. All’operatrice che gli ha risposto racconta: “Credo che abbiano ucciso una persona, non ne sono sicuro, forse è viva”. La conversazione va avanti. La voce del centralino gli chiede se la persona sia una sua parente. Lui risponde: “No, è la mia fidanzata”. In via Pascoli 8, infatti, si è appena consumato l’omicidio di Chiara Poggi, 26 anni. Qualcuno l’ha massacrata con un oggetto contundente e ne ha abbandonato il corpo lungo le scale che conducono alla cantina della villetta. I sospetti si concentrano proprio su Alberto Stasi, che dopo due assoluzioni viene condannato in Appello bis e in Cassazione. Negli anni un altro nome viene iscritto nel registro degli indagati: si tratta di Andrea Sempio, 19enne all’epoca dei fatti. Una perizia del 2025 stabilisce che sotto le unghie della vittima sia presente il suo Dna.
- Il delitto di Garlasco
- La telefonata al 118
- L'omicidio di Chiara Poggi
- I sospetti su Alberto Stasi
- Le condanne
- Le gemelle Cappa
- Andrea Sempio
- Il maxi incidente probatorio
- Il Santuario della Bozzola, Gianni Bruscagin e il circo mediatico
- 18 anni di indagini
Il delitto di Garlasco
È il 13 agosto 2007. Chiara Poggi, 26 anni, è sola in casa. I suoi genitori, Giuseppe Poggi e Rita Preda, da giorni sono partiti per una vacanza in montagna insieme al fratello minore di Chiara, Marco Poggi. Quella mattina il fidanzato, Alberto Stasi di 24 anni, tenta più volte di mettersi in contatto con lei. La chiama sul cellulare, la chiama sul telefono fisso, ma la ragazza non risponde. La sera prima sono stati insieme e hanno mangiato una pizza. Alberto continua a telefonare, ma nessuno alza la cornetta.
Quindi decide di andare ad accertarsi che la fidanzata stia bene. Alberto sale a bordo della sua Golf, lascia via Carducci 29 e arriva fino a via Pascoli 8. Scende dall’auto e suona il campanello. Chiara non risponde. Il ragazzo la chiama a gran voce da fuori, ma anche questo si rivela un vano tentativo. Sempre più preoccupato, il 24enne scavalca il muro di cinta dei Poggi e atterra sul vialetto che conduce alla porta di ingresso dell’abitazione. È semiaperta.
IPA
Alberto entra nell’abitazione. Dalla sala da pranzo, in fondo, sente il suono del televisore. Il ragazzo verifica se Chiara sia lì, ma la ragazza non c’è. Quindi si muove lungo il locale accanto, quello dei garage, ma anche questa volta della fidanzata non c’è traccia. Poi fa per muoversi verso la zona dell’ingresso, ma si accorge che di fronte alla porta a soffietto aperta sulle scale che danno verso la cantina della villetta c’è una corposa pozza di sangue.
Il ragazzo si affaccia, scende due gradini e si sporge in avanti. Lì scorge Chiara Poggi. È morta ed è ricoperta di sangue, lo stesso che imbratta la zona giorno accanto all’ingresso in prossimità del disimpegno che dà sul primo piano, lo stesso schizzato accanto al telefono e al divano, lo stesso che poco prima Alberto ha notato di fronte alla porta a soffietto. Il ragazzo fugge, monta nuovamente sull’auto, chiama il 118 e ingrana la marcia per andare dai carabinieri.
Questa, almeno è la versione che Alberto Stasi fornisce agli inquirenti. A Garlasco, presumibilmente, nessuno immagina che da quel giorno quel piccolo villaggio della Lomellina sarà l’epicentro di un turbine mediatico. Uno dei tanti, ma unico nella continuità temporale con cui viene mantenuta elevata l’attenzione sul caso. Lo dimostrerà l’arrivo di Fabrizio Corona, ma ci arriveremo.
La telefonata al 118
Alle 13:50 Alberto, che in quel momento è alla guida della sua Volkswagen Golf nera per andare dai carabinieri, avvia la chiamata al 118. All’operatrice che riceve la telefonata dice: “Credo che abbiano ucciso una persona, non ne sono sicuro, forse è viva“. Dall’altra parte gli chiedono se sia una sua parente, lui specifica che la vittima sia la fidanzata.
“C’è sangue dappertutto“, dice Alberto, che all’operatrice spiega che sta andando dai carabinieri. Saranno proprio i militari a osservare con attenzione l’atteggiamento di quel ragazzo, strappato via alla quotidianità e alla sua tesi di laurea in corso d’opera con la scoperta dell’omicidio della fidanzata.
L’omicidio di Chiara Poggi
Gli inquirenti entrano per la prima volta nella villetta dei Poggi alle 14:11. I militari notano che il corpo di Chiara, come raccontato da Alberto Stasi, si trova sulle scale che conducono alla cantina dell’abitazione. I primi rilievi dimostrano che la ragazza ha aperto al suo assassino, dato che nel momento della sua morte indossava un pigiama con calzoncini corti e t-shirt. Nella casa, infatti, non sono presenti segni di effrazione.
Chi l’ha uccisa lo ha fatto con ferocia: Chiara è stata colpita ripetutamente al volto e – secondo l’autopsia effettuata il 16 agosto 2007 dal medico legale Marco Ballardini – presenta “lesioni contusive cranio-cefaliche” che ne avrebbero determinato la morte. L’assassino l’avrebbe colpita in due tempi: il primo nei pressi della scala che conduce al primo piano, il secondo in prossimità della porta a soffietto che si apre sulle scale che conducono al piano interrato. L’arma del delitto non verrà mai ritrovata.
I sospetti su Alberto Stasi
Da subito i militari e gli inquirenti muovono i primi sospetti su Alberto Stasi. Il primo dettaglio a incuriosirli è un riferito distacco con il quale affronta i colloqui con i carabinieri, anche quando gli vengono mostrate le foto del cadavere della fidanzata uccisa. Inoltre, nonostante il giovane abbia riferito di essere entrato nell’abitazione di via Pascoli 8 e sia passato di stanza in stanza per cercare Chiara, le sue scarpe appaiono intonse così come i tappetini della sua auto.
Ci sono, inoltre, le testimoni Franca Bermani ed Emanuela Travain che riferiscono che quella mattina avrebbero notato una bicicletta nera poggiata sul muro di casa Poggi alle 9:10, un orario coincidente con le stabilite coordinate temporali entro le quali Chiara è stata uccisa. Brevemente: secondo l’accusa quello di Alberto Stasi sarebbe il racconto dell’aggressore e non dello scopritore. Avrebbe ucciso la fidanzata recandosi in casa sua con una bicicletta nera, poi sarebbe tornato a casa per lavorare sulla sua tesi di laurea.
E proprio la tesi di laurea è l’alibi che Alberto Stasi presenta agli inquirenti: mentre Chiara veniva uccisa, lui stava lavorando al computer, in casa sua. Secondo i rilievi, Chiara avrebbe disattivato l’allarme perimetrale alle 9:12, Stasi avrebbe avviato i lavori sulla tesi alle 9:35. Per l’accusa quei 23 minuti sarebbero stati sufficienti per uccidere la fidanzata, tornare a casa e continuare a redigere il suo lavoro accademico. Il 24 settembre 2007 Alberto Stasi viene arrestato e rilasciato pochi giorni dopo per insufficienza di prove.
IPA
Le condanne
Dopo due assoluzioni in primo grado e in appello, nel 2013 la Cassazione annulla tutto e ripartono le indagini. Una nuova perizia stabilisce che Stasi potrebbe aver sostituito i pedali tra due biciclette di cui è in possesso per nascondere eventuali tracce di Chiara, una volta appreso che due testimoni avevano notato una bicicletta nera poggiata sul muro dei Poggi la mattina del 13 agosto 2007.
Un’impronta di Stasi, inoltre, viene rilevata sul dispenser del sapone di casa Poggi e l’impronta di una scarpa ritenuta a lui compatibile sarebbe presente sulla scena del delitto. Con un totale di sette indizi a suo carico, il processo si riapre e nel 2014 il “biondino dagli occhi di ghiaccio” – definito così dalla stampa – viene condannato in sede di appello bis, sentenza confermata il 12 dicembre 2015. Alberto Stasi viene condannato a 16 anni di reclusione per omicidio volontario. E no, non è tutto.
Le gemelle Cappa
Sin dai primi giorni in cui i riflettori dei media vengono puntati su Garlasco, entrano in scena Paola Cappa e Stefania Cappa. Gemelle, 23 anni, cugine di primo grado di Chiara Poggi, il giorno 14 – appena 24 ore dopo il delitto – le “gemelle K” (così indicate dalla stampa) sul cancello della villetta di via Pascoli 8 appongono un mazzo di fiori, un biglietto e un fotomontaggio che le mostra insieme alla cugina appena strappata alla vita. Il tutto avviene a favore delle telecamere che dal giorno prima puntano sul civico 8.
I sospetti esplodono da subito: secondo l’opinione pubblica le due sorelle avrebbero avuto un rapporto morboso con Chiara, oppure tra le cugine e la vittima non ci sarebbe mai stata alcuna frequentazione. Quindi, qualcuno decide che le Cappa starebbero sfruttando l’attenzione mediatica sul delitto di Garlasco per arrivare alla notorietà. A Garlasco, infatti, arriva anche Fabrizio Corona.
Un testimone, l’operaio Marco Demontis Muschitta, riferisce alla Procura di Vigevano che la mattina del delitto si trovava a Garlasco per un lavoro. Agli inquirenti racconta di aver notato una ragazza arrivare in bicicletta da via Pascoli, la quale procedeva a zig zag perché nella mano destra teneva – secondo il suo racconto – un attrezzo da camino. Dopo una pausa, Muschitta ritratta e dice di essersi inventato tutto, anche se al telefono con il padre dirà al contrario, come emerge da un’intercettazione. I sospetti sulle gemelle Cappa – mai sollevati, in verità, cadono.
ANSA
Andrea Sempio
Il nome di Andrea Sempio viene iscritto nel registro degli indagati in due momenti: la prima volta nel 2017, quando la difesa di Stasi presenta una perizia nella quale emerge che il Dna presente sotto le unghie di Chiara Poggi sarebbe compatibile con quello di Sempio. Quest’ultimo aveva 19 anni all’epoca dei fatti ed è un amico di Marco Poggi, fratello della vittima e che, per forza di cose, frequentava la villetta di via Pascoli 8.
Va detto che nel 2008 Sempio, non ancora indagato, consegna spontaneamente agli inquirenti lo scontrino di un parcheggio di Vigevano, dove la mattina del 13 agosto 2007 dice di essersi recato per acquistare un libro.
Un alibi, sostanzialmente, la cui prova è stata conservata dalla madre – riferisce – a scopo precauzionale. L’orario riportato nello scontrino lo coprirebbe dalle responsabilità in quanto emesso alle 10:18, dunque dimostrerebbe la sua estraneità ai fatti rispetto all’orario indicato dal medico legale Marco Ballardini come quello dell’uccisione di Chiara: tra le 10:30 e le 12.
Un orario poi retrodatato da una consulenza della difesa di Stasi che, invece, colloca l’omicidio intorno alle 9:30. Ma dal 2007 al 2009 la Procura si attiene alla fascia oraria indicata dal dottor Ballardini. Per questo lo scontrino di Sempio viene indicato come alibi. Nel 2017 Sempio viene prosciolto, ma l’11 marzo 2025 il suo nome viene iscritto nuovamente nel registro degli indagati: una nuova perizia richiesta dalla difesa di Stasi stabilisce che il Dna presente sotto le unghie di Chiara sia sovrapponibile al suo: Sempio viene indagato per omicidio in concorso.
Il maxi incidente probatorio
Dopo le nuove prove contro Sempio, la Cassazione riapre l’inchiesta. Il caso diventa una battaglia di perizie confluite, poi, nel maxi incidente probatorio di martedì 17 giugno 2025 che coinvolge almeno 10 esperti.
Sul tavolo del gip compaiono 58 impronte repertate all’epoca contenute in 35 para adesivi contenenti i profili genetici rilevati sulla scena del delitto.
Il Santuario della Bozzola, Gianni Bruscagin e il circo mediatico
Con l’apertura delle nuove indagini a carico di Andrea Sempio i riflettori dello show mediatico si sono riaccesi. A confluire di fronte alle telecamere, oltre ai personaggi già noti nella vicenda – ad esclusione delle gemelle Cappa e del padre Ermanno, che hanno interrotto i contatti con la stampa già nel 2007 – sono nuovi presunti super testimoni.
Tra questi c’è Gianni Bruscagin, che in un’intervista a Le Iene riferisce di aver appuntato su fogli di carta la testimonianza di una donna di Tromello, vicino Garlasco, che gli avrebbe detto che la mattina del delitto avrebbe visto una delle gemelle Cappa arrivare trafelata nell’abitazione della nonna – vicina di casa della donna ascoltata da Bruscagin – con un borsone pesante. Poco dopo la donna avrebbe sentito il tonfo di un oggetto pesante gettato su un canale che scorre di fronte all’abitazione. A seguito di questa testimonianza gli inquirenti hanno setacciato il canale e hanno rinvenuto diversi oggetti pesanti potenzialmente utili alle indagini dal momento che l’arma del delitto non è mai stata ritrovata.
Contestualmente l’attenzione mediatica si è concentrata anche sul Santuario della Madonna della Bozzola, teatro di un presunto scandalo sessuale che avrebbe coinvolto l’ex rettore don Gregorio Vitali e di cui Chiara Poggi sarebbe venuta a conoscenza. Piste, ipotesi, testimonianze che nel 2025 assumono un certo peso mediatico ma che non trovano riscontri.
ANSA
18 anni di indagini
Da 18 anni il delitto di Garlasco riempie le pagine dei giornali, gli spazi dei talk televisivi e i profili social dei creator, divenendo figlio del progresso tecnologico. Lo stesso progresso che sposta l’universo mediatico dal piccolo schermo ai podcast, Instagram, YouTube e TikTok, è presente nelle nuove tecnologie usate dagli inquirenti per riavvolgere il nastro.
Molti reperti acquisti dai Ris nel 2007, infatti, non esistono più perché si sono consumati durante le analisi. Di queste è rimasta traccia negli elaborati sui quali gli inquirenti coinvolti in questa nuova fase si basano per riavvolgere il nastro e stabilire se, eventualmente, Alberto Stasi sia davvero innocente come da sempre si definisce o se sulla scena del delitto ci sia mai stato un secondo assassino.
