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CONSIGLI 22 GENNAIO 2024

Il caffè del bar non è più buono: cosa usano davvero e come capire se è di qualità

Che l’eccellenza enogastronomica sia un punto di forza dell’Italia nessuno può negarlo. Ma forse c’è qualcosa che non torna con il caffè del bar. Che sulla carta il nostro sia il migliore del mondo non ci sono dubbi, ma siamo sicuri che tutti rispettino la tradizione e lo preparino come si deve? A sollevare il problema è un’inchiesta del Gambero Rosso.

L’inchiesta di Gambero Rosso sul caffè al bar

Pare infatti che il cosiddetto caffè gourmet esista, ma che sia presente nel nostro Paese solo in bassissima percentuale: appena lo 0,3% dei bar offrei ai clienti una bevanda di qualità. La tazzulella, spiega Gambero Rosso, è troppo spesso amara, sciatta e rafforzata.

La situazione, in sintesi, è data dalla bassa qualità della materia prima e dall’inesperienza di chi decide di aprire un’attività commerciale che sul caffè dovrebbe puntare praticamente tutto.

Come sa chi gestisce un locale, un modo per abbattare le spese è affidarsi alle torrefazioni che forniscono la macchinetta e gli accessori, come le tazze e il porta-tovaglioli.

I contratti sono vincolanti e spesso sono fatti con marchi di scarsa qualità, con miscele in realtà molto costose e di cui non è chiara la composizione o l’origine. Sono questi aspetti, principalmente, a rovinare la reputazione di quella che dovrebbe essere una istituzione nazionale.

Cosa fanno le torrefazioni: miscele senza qualità

Il caffè del bar considerato buono è, in realtà, cattivo. Ci si abitua alla schiuma, all’amaro e al bruciato, ma queste caratteristiche non sono sinonimo di qualità.

Il fatto di usare il dolcificante o bere un bicchiere d’acqua dopo il caffè non è un buon segno e non bisogna scambiarlo come un rituale sano. In realtà c’è qualcosa che non va.

Nel mondo la conoscenza del caffè si è evoluta, ma l’Italia – patria (in)discussa – è rimasta indietro, prigioniera dei meccanismi delle torrefazioni. Con loro si ha un rapporto simile a quello che si ha con le banche: si firmano accordi e si accettano finanziamenti. In questo gioco al risparmio, però, si perde tantissimo in termini di qualità.

L’unico modo per uscirne, spiega Gambero Rosso, è che il consumatore si ribelli. Se chi ordina il caffè al bar riconosce che qualcosa non va, deve lamentarsi e cambiare locale. Forse così i commercianti capiranno che non possono più prendere in giro i propri clienti e che la formazione è importante.

Come si riconosce un buon caffè al bar: i trucchi

Ci sono diversi fattori che bisognerebbe considerare per fare in modo che il caffè al bar sia veramente buono. Chi apre un’attività commerciale dovrebbe informarsi su diversi aspetti:

  • macchinetta del caffè;
  • miscela;
  • tostatura;
  • macinazione;
  • acqua utilizzata;
  • colore;
  • aroma;
  • gusto.

Il consumatore, poi, può aguzzare la vista, l’olfatto e il gusto, così da saper riconoscere una bevanda di qualità. Tanto per cominciare la crema dovrebbe essere nocciola chiaro e dovrebbe conservare degli aromi floreali e fruttati.

Il segreto di un caffè perfetto, inoltre, non è l’amaro come molti pensano. Un sapore eccessivamente forte è segno di una cattiva tostatura.

Se, dopo aver finito il contenuto della tazzina, la prima cosa che viene spontaneo fare è bere un bicchiere d’acqua qualcosa non va. Un buon prodotto, infatti, non lascia secchezza e non viene certo voglia di liberarsi così presto di un retrogusto piacevole.

Infine, si deve pretendere un caffè caldo, quasi bollente, servito in una tazzina di vetro o – meglio – di ceramica. Questo materiale, infatti, è più isolante e permette di mantenere la giusta temperatura e di conservare gli aromi. Se a fine degustazione si rimane con il sorriso, il barista ha vinto e ha superato il test: è in grado di fare un buon caffè.

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